Come distorcere la realtà dei fatti. Due articoli sulla Stampa a firma Mastrolilli e Riotta
Analisi di Antonio Donno
A destra: Donald Trump, Joe Biden
“Quasi casualmente” e “casualità dell’approccio” sono le espressioni usate rispettivamente da Paolo Mastrolilli e Gianni Riotta per definire il successo di Trump nell’aver dato vita agli Accordi di Abramo. Non è casuale – è il caso di dirlo, questa volta – che i due giornalisti della “Stampa” abbiano così definito i risultati dell’azione di Trump nel Medio Oriente in due articoli comparsi sul quotidiano di Torino:
http://www.informazionecorretta.com/main.php?mediaId=6&sez=120&id=80305
Un’unità di visione che, tuttavia, nasconde un comune grave errore di valutazione dovuto allo stesso disprezzo nei confronti di Trump. Ma procediamo con ordine. Mastrolilli afferma che il piano di pace proposto da Trump è fallito ma ha dato vita come “sottoprodotto imprevisto” agli Accordi di Abramo. Gli Accordi di Abramo, dunque, non sono il risultato dei continui contatti che sono stati instaurati da Stati Uniti e Israele con alcuni paesi arabi dopo l’ingresso di Trump alla Casa Bianca, anche come esito della drastica presa di posizione di Washington contro l’Iran con il ritiro americano dagli accordi sul nucleare stipulati con Teheran. Il mondo arabo sunnita era in subbuglio per la minaccia costante iraniana di egemonizzare il Medio Oriente e gli Accordi di Abramo rispondevano alla necessità urgente di difendersi da tale incubo. Così, il ritiro degli Stati Uniti da un accordo che consentiva, di fatto, a Teheran di sviluppare silenziosamente il proprio progetto nucleare e le drastiche sanzione economiche che hanno messo in ginocchio l’Iran e indebolito il regime degli ayatollah sono il frutto di un’iniziativa politica messa a punto sin dall’inizio del mandato presidenziale di Trump. Gli Accordi di Abramo non sono un “sottoprodotto imprevisto”, come afferma Mastrolilli, del fallimento del piano di pace rifiutato dai palestinesi, ma l’esito di un programma messo a punto congiuntamente da Washington e Gerusalemme che ha convinto alcuni paesi arabi della necessità di porre fine a un conflitto con Israele tanto inutile quanto dannoso per i progetti di sviluppo di quei paesi. Definire come un “sottoprodotto imprevisto” tale fondamentale risultato politico è, con buona pace di Mastrolilli, uno svarione che si commenta da sé, perché frutto di una posizione politica che nega la realtà dei fatti per la necessità di condannare senza appello tutta la politica di Trump nei suoi quattro anni. Al contrario, le iniziative punitive nei confronti di Teheran da parte di Trump, in accordo con Netanyahu, hanno avuto come esito un “prodotto previsto”, una serie di intese che hanno dato vita agli Accordi di Abramo. La negazione del piano di pace americano da parte dei palestinesi fa parte del processo di auto-eliminazione dell’Autorità Palestinese dai giochi mediorientali, un’auto-eliminazione progressiva che si muove dalla fallimentare politica di Arafat sino agli esiti attuali e che condanna un intero popolo alla invisibilità politica. In questo quadro che si va evolvendo con l’ingresso di nuovi attori arabi negli Accordi di Abramo, la condanna da parte dell’AP nei confronti dei paesi che via via vi aderiscono suona come un penoso lamento funebre per un fallimento storico. Mastrolilli evita di prenderlo in considerazione, in quanto si tratta, con ogni evidenza, di un “prodotto previsto” dagli analisti non accecati dall’odio anti-trumpiano. Per Mastrollilli, dunque, gli Accordi di Abramo non sono una svolta storica ma un “sottoprodotto imprevisto”, un esito raggiunto “quasi casualmente” come frutto di un fallimento. Assurdo. L’adesione dei paesi arabi, al contrario, è un processo che parte da lontano, dalle iniziative politiche condotte da Netanyahu nel lungo periodo e poi sostenute da Washington nel periodo di presidenza di Trump. Fu, invece, la politica mediorientale di Obama a rompere i rapporti con Israele a favore di un Iran a caccia di una supremazia nel Medio Oriente. Gli accordi sul nucleare furono soltanto una foglia di fico per coprire una politica, come quella di Obama, che favoriva, di fatto, le ambizioni egemoniche di Teheran nel Medio Oriente. In definitiva, il disgelo tra regimi arabi sunniti e Israele non è dovuto ad un “approccio casuale”, come sostiene Riotta nel suo articolo, ma ad un processo lento ma costante di riavvicinamento tra due parti del sistema mediorientale che hanno tutto l’interesse politico ed economico a collaborare per lo sviluppo della regione.
Antonio Donno