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Mordechai Kedar
L'Islam dall'interno
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La ‘Primavera araba’ dieci anni dopo: ecco come è andata davvero19/12/2020
La ‘Primavera araba’ dieci anni dopo
Analisi di Mordechai Kedar

(Traduzione di Yehudit Weisz)

A destra: le primavere arabe prima aiutate dagli Usa di Obama (a sinistra), poi dominate dagli islamisti antioccidentali (a destra)

Il 17 dicembre del 2010, in una piccola città di provincia della Tunisia, un giovane di nome Muhammad Bouazizi, si era dato fuoco per protestare contro uno schiaffo ricevuto da una poliziotta, reo di aver gestito un chiosco di ortaggi non autorizzato nel tentativo di guadagnarsi da vivere. I suoi amici avevano organizzato manifestazioni contro il governo corrotto del Presidente Zine Abidine Ben Ali, e quelle proteste si estesero rapidamente fino a Tunisi, la capitale. Al Jazeera trasmise le manifestazioni ininterrottamente attraverso le onde radio, incitando sempre più tunisini a unirsi a loro in una marea crescente. Dopo circa un mese di massicce proteste, il Presidente era fuggito con moglie e figli in esilio politico in Arabia Saudita. A partire da gennaio del 2011, le manifestazioni si estesero a Egitto, Yemen, Libia, Siria, Bahrain, Algeria, Giordania, Marocco, Iraq, Sudan, Kuwait, Libano, Mauritania e persino all’Arabia Saudita e all’Oman. Nella maggior parte di questi Stati si sono placate, o sono state soffocate da interventi stranieri come quello dell’ Arabia Saudita in Bahrain. Purtroppo in Siria, Libia e Yemen, il sanguinoso conflitto interno è continuato fino ad oggi, pur avendo attirato l'intervento armato straniero. L'Egitto ha subito importanti cambiamenti di regime, compreso un anno di governo dei Fratelli Musulmani, e questi cambiamenti hanno ulteriormente afflitto l'economia già in difficoltà. La Tunisia ha vacillato tra forze civiche opposte, dall'Islam politico al liberalismo di impronta europea.

All'inizio, l'obiettivo principale dei manifestanti era di farla finita con l'oppressione e la corruzione dei regimi in carica, la disoccupazione, la povertà, l'ignoranza, l'emarginazione sociale e il disprezzo generale che le autorità statali avevano mostrato nei confronti dei loro cittadini. L'amara realtà nella maggior parte degli Stati arabi contrastava nettamente con la situazione nelle monarchie del Golfo, in Europa e in America, come veniva svelato alle masse grazie ai mezzi di informazione, ai canali satellitari e ai social media, soprattutto a Facebook. Al Jazeera, che aveva iniziato le sue prime trasmissioni alla fine del 1996, era diventato un media jihadista in rappresentanza dei Fratelli Musulmani, e ha diffuso di Paese in Paese il fervore delle manifestazioni e della rivolta contro le autorità. Il mondo arabo alla fine del 2010 era come una polveriera con Al Jazeera che provocava scintille tutt'intorno. Bouazizi è stata la scintilla che aveva acceso le masse. I Paesi che erano stati in prima linea nel panarabismo per molti anni - Siria, Libia e Iraq (dove i disordini erano iniziati nel 2003) - caddero nella guerra civile e le loro popolazioni eterogenee stanno lottando per la sopravvivenza ancora oggi. La Lega Araba, l'organizzazione che rappresentava la “Nazione araba” nel mondo, mentre svolgeva un ruolo di conciliazione e mediazione in campo arabo, è caduta in una paralisi totale.

Tunisia: What's left of the Arab Spring - Le Journal International
Manifestazioni in Tunisia dieci anni fa

Quando i regimi cessano di essere efficienti e prevale l'anarchia, chi riesce a fuggire lo fa il più rapidamente possibile. Milioni di arabi sono emigrati in qualunque Paese del mondo li potesse accogliere. Persone con istruzione universitaria, accademici, ingegneri, medici e liberi professionisti sono andati all'estero per trovare ambienti tranquilli e sicuri per se stessi e le loro famiglie. Milioni di emigranti sono andati in Turchia, in Europa e in molti altri Paesi, dovendo abbandonare la loro patria in cui non avrebbero trovato la possibilità di ricostruirsi. Allo stesso tempo, i soggetti più pericolosi, quelli che erano stati sottomessi ma che attendevano un'opportunità per risalire in superficie, ora tornavano allo scoperto: le organizzazioni islamiche radicali generate dalle madrasse dei Fratelli Musulmani , in particolare al-Qaeda e le sue propaggini. Si sono guadagnati la legittimità combattendo spietatamente (questo è il jihad) contro i regimi crudeli e corrotti. Nel 2014, hanno raggiunto un obiettivo importante, creando lo Stato islamico di Iraq e Siria (ISIS). Questo Stato, ha seminato paura in tutto il mondo con orribili forme di omicidio e ha dato luogo a un consenso internazionale sulla necessità di un intervento straniero, in particolare da parte di Russia e Stati Uniti. La demolizione dell'ISIS, tuttavia, non ha sradicato l'ideologia radicale su cui si basava; al contrario, quell'ideologia cercava semplicemente nuovi pascoli. Ora è vivo e uccide nel Sinai, in Algeria, Africa, Europa e ovunque siano fuggiti i terroristi dell'ISIS. Di tanto in tanto organizza attacchi terroristici. Proprio di recente abbiamo visto i coltelli ISIS in azione in Francia. I grandi perdenti della "Primavera araba" sono le sfortunate masse che sono scese in piazza con richieste del tutto giustificate, ma hanno incontrato la forza bruta e il silenzio assordante dell'apatia internazionale verso il dilagante spargimento di sangue. La nuda ipocrisia del Consiglio dei Diritti Umani delle Nazioni Unite è stata svelata quando ha concesso seggi proprio agli Stati accusati di massicce violazioni dei diritti umani. Le tragedie della "Primavera araba" hanno trasformato il problema palestinese in una questione marginale.

Molti politici arabi capiscono che questo problema non sta andando verso una soluzione, principalmente perché Israele non si sta sottomettendo alla narrativa inventata dai gruppi terroristici (da Fatah e le organizzazioni del "Fronte" ad Hamas e la Jihad islamica). In Arabia Saudita è stato persino affermato che la moschea di al-Aqsa, menzionata nel Corano, si trovava nella penisola arabica piuttosto che a Gerusalemme, ribaltando così le pretese religiose palestinesi della titolarità sul terzo santuario più sacro dell'Islam e, implicitamente, su Gerusalemme e Palestina. I grandi vincitori della “Primavera araba” sono gli Stati della Penisola arabica (eccetto lo Yemen) che sono scampati alle conseguenze. Paesi che fino a un decennio fa erano ai margini del mondo arabo, lontani dai riflettori della politica regionale e internazionale, sono oggi attori chiave della politica internazionale del Medio Oriente. Gli sconvolgimenti mediorientali hanno consentito alle forze non arabe, sia periferiche che straniere, di penetrare nella regione a volontà. La Russia ha salvato il regime di Assad in Siria in cambio della conquista della parte occidentale del Paese e degli enormi depositi di gas naturale nel fondo del Mediterraneo che appartengono alla Siria. L'Iran, attraverso i suoi delegati e i Corpi Speciali, ha ottenuto il controllo dell'Iraq, della Siria centrale e orientale, del Libano, dello Yemen e di Gaza. La Turchia di Erdoğan sta assumendo il controllo di parti della Siria e della Libia. Nel frattempo, Israele - che in passato è stato descritto come un “coltello nel cuore della nazione araba” - sta allungando la lista degli Stati arabi che ne hanno accettato l'esistenza, l'hanno riconosciuto e fatto pace con lui.

L'Etiopia si sente abbastanza forte rispetto all'Egitto, tanto da aver costruito una diga sul Nilo che potrebbe causare una devastante carenza d'acqua per i 100 milioni di abitanti dell'Egitto. Il Sudan si è diviso in due Paesi, Sud Sudan e Sudan, e quel processo potrebbe continuare oltre il Sudan in altri Stati arabi. I 10 anni della “Primavera araba” - l'ultimo dei quali è l'anno del COVID-19 - hanno portato molti Paesi arabi sull'orlo dell'abisso. La scarsità di cibo, le guerre senza fine in Libia, Siria, Iraq e Yemen, l'espansione iraniana e l'apatia globale, hanno aggravato la sofferenza del Medio Oriente. La cosa peggiore di tutte si profila nell’immediato futuro: la prossima amministrazione statunitense, che mira a tornare all'accordo nucleare del 2015 e revocare le sanzioni contro l'Iran. Questi passi aumenteranno la capacità di Teheran di interferire nei Paesi arabi e seminare morte e distruzione. Ne potrebbe conseguire un'ulteriore ondata di emigrazione (o, più precisamente, fuga) di milioni di mediorientali verso nuovi Paesi dove poter ricostruire vite distrutte dalla "primavera araba". In sintesi, come erano grandi le speranze che hanno accompagnato la "Primavera araba" all'inizio, tanto lo è la disillusione che ha lasciato nella sua scia.


Mordechai Kedar è lettore di arabo e islam all' Università di Bar Ilan a Tel Aviv. Nella stessa università è direttore del Centro Studi (in formazione) su Medio Oriente e Islam. E' studioso di ideologia, politica e movimenti islamici dei paesi arabi, Siria in particolare, e analista dei media arabi.
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