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La Repubblica Rassegna Stampa
18.12.2020 Libano: l'oppositrice di Hezbollah finisce in carcere
Commento di Sharon Nizza

Testata: La Repubblica
Data: 18 dicembre 2020
Pagina: 1
Autore: Sharon Nizza
Titolo: «Libano, attivista anti-Hezbollah condannata a tre anni di carcere»

Riprendiamo dalla REPUBBLICA online, di oggi 18/12/2020, con il titolo "Libano, attivista anti-Hezbollah condannata a tre anni di carcere" l'analisi di Sharon Nizza.

A destra: Kinda al-Khatib

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Sharon Nizza

Dubai - L'attivista libanese Kinda al-Khatib, 23 anni, già detenuta da sei mesi, è stata condannata lunedì dal Tribunale militare di Beirut a tre anni di carcere e lavori forzati perché riconosciuta colpevole di "collaborazione con il nemico", ossia Israele. Con lei è stato condannato a dieci anni di carcere, in contumacia, anche Charbel Hage, 35 anni, analista finanziario che oggi vive a Washington. Entrambi erano stati accusati di aver violato la legge sul boicottaggio, art. 278 del codice penale, che vieta ai cittadini libanesi qualsiasi tipo di interazione con israeliani. Il reato: un'intervista concessa a giugno da Charbel - da Washington - a una Tv israeliana, sulla crisi economica in Libano. Kinda avrebbe intermediato. La famiglia della giovane ha respinto ogni accusa, sostenendo che si tratti di un arresto politico, "la prova che in Libano non c'è libertà di espressione". Con i suoi 30,000 followers su Twitter, Kinda condivideva opinioni critiche di Hezbollah e dell'alleato di governo FPM, il partito del Presidente Michel Aoun. Dalle manifestazioni anti-governative dell'ottobre 2019 era diventata una voce di riferimento tra gli attivisti del distretto di Akkar, il più povero del Paese, dove all'alba del 18 giugno è stata prelevata dalle forze di polizia.

"È tutta una farsa" dice Hage al telefono con Repubblica da Washington, la voce scossa dalla notizia appresa da poco. "Nell'atto di accusa è scritto che Kinda e io abbiamo avuto un incontro all'Ambasciata USA a Beirut con esponenti diplomatici europei. Ma io Kinda non l'ho mai incontrata di persona. Ho solo rilasciato un'intervista pubblica come analista, dagli USA, dove una legge come quella libanese sul boicottaggio peraltro è illegale". Hage collabora con "Hezbollah Monitor", un'organizzazione che pubblica dati sull'impatto che ha sull'economia libanese il partito guidato da Hassan Nasrallah, che indica come il principale responsabile della crisi economica e istituzionale del Paese, avendo creato un circolo di corruzione senza precedenti. Dice che la scelta di includerlo nell'atto di accusa - notizia che ha appreso solo a inizi settembre - e la condanna a ben dieci anni hanno uno scopo preciso. "E' un messaggio intimidatorio a tutti i libanesi che vivono all'estero: vi raggiungiamo ovunque siate. E avviene proprio nei giorni in cui diversi Paesi arabi stanno avviando relazioni diplomatiche con Israele, che di certo porteranno a interazioni di vario genere: negli Emirati per esempio vivono oltre 200,000 libanesi, il messaggio è rivolto in primis a loro". Secondo l'atto di accusa, Kinda avrebbe visitato Israele durante un viaggio in Giordania con il fratello - arrestato con lei e rilasciato dopo due giorni - che ha sempre negato la circostanza. C'è poi un'altra serie di accuse, per i sostenitori di Kinda "ridicole e senza fondamento": avrebbe tentato di mediare un incontro tra lo stesso giornalista israeliano e l'erede al trono saudita Mohammed bin Salman, e condiviso non specificate informazioni di intelligence con diplomatici europei e un agente del Kuwait. Charbel ci racconta che Kinda a gennaio era già stata denunciata da un'attivista pro-Hezbollah per "aver criticato il Presidente, mettendo a rischio la sicurezza nazionale con i suoi tweet contro Aoun e Nasrallah".

Due volte era stata costretta dall'intelligence militare a firmare un impegno a non criticare Hezbollah, "un noto metodo per silenziare gli oppositori. È evidente che il problema con Kinda era il suo attivismo e il seguito che aveva". Un suo amico le aveva suggerito più volte di placare i toni, perché "prima o poi succederà qualcosa". Lei stessa aveva scritto su twitter di essere certa che avrebbero cercato di incastrarla con false accuse. "Questo è il Libano oggi" conclude Hage "un Paese il cui il sistema giudiziario non riesce a obbligare chi di dovere a prendere parte alle indagini sull'esplosione al porto di Beirut, ma non si fa problemi a emettere sentenze contro attivisti anti-Hezbollah. L'intero sistema è al servizio di Hezbollah". "Leggi che criminalizzano i contatti con gli israeliani sono diffuse in tutti i Paesi arabi" dice a Repubblica Mostafa El-Dessouki, direttore del Consiglio Arabo per l'Integrazione Regionale, un'organizzazione che unisce attivisti provenienti da 15 Paesi arabi. Solo nelle ultime settimane sono avvenuti due episodi emblematici: il cantante tunisino Noamane Chaari, che giovedì scorso aveva reso nota la sua collaborazione, a distanza, con un cantante israeliano, con il quale ha eseguito un duetto "Peace Among Neighbor" ("Pace tra vicini"), sta subendo un violento attacco nel suo Paese da parte del sindacato dei musicisti e delle principali emittenti televisive.

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Mohamed Ramadan

Il mese scorso invece, il cantante egiziano Mohamed Ramadan, per via di una foto scattata a Dubai insieme al collega israeliano Omer Adam, è stato citato in giudizio per "vilipendio del popolo egiziano", con un'udienza fissata per il 19 dicembre. Il Consiglio Arabo per l'Integrazione Regionale sta promuovendo una proposta di legge, già sostenuta da 85 parlamentari bipartisan in Francia e presentata ad agosto al Congresso americano, volta a istituire un rapporto annuale dei casi in cui cittadini di Paesi arabi siano intimiditi o puniti per aver interagito con israeliani. "Queste leggi reprimono la società civile e impediscono agli arabi di contribuire a colmare il divario israelo-palestinese in maniera costruttiva" dice El-Dessouki. "Se la legge passerà - e ambiamo a promuoverla anche in Italia - si tratterà di un passo importante per il monitoraggio e la protezione dei diritti civili".

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