Caso Regeni, la verità viene a galla: la prof. di Cambrige che ha mandato Giulio in Egitto è affiliata ai Fratelli Musulmani Cronaca di Giuliano Foschini
Testata: La Repubblica Data: 12 dicembre 2020 Pagina: 6 Autore: Giuliano Foschini Titolo: «Regeni, i rimorsi e le bugie della prof di Cambridge: 'L’ho mandato a morire'»
Riprendiamo dalla REPUBBLICA di oggi, 12/12/2020, a pag. 6-7, con il titolo "Regeni, i rimorsi e le bugie della prof di Cambridge: 'L’ho mandato a morire' ", l'analisi di Giuliano Foschini.
La responsabilità della docente di Giulio Regeni non era un segreto, IC ne ha scritto più volte. Ma quella di comodo ha sempre dominato media e istituzioni europee, influenzati dalla politica obamiana favorevole ai Fratelli Musulmani. Oggi anche sul Corriere della Sera una pagina sulla prof. di Cambridge affiliata ai Fratelli Musulmani. Sulla Stampa, invece, con Donatella Di Cesare (te pareva!) e in prima pagina la solita versione -accettata anche dalla famiglia di Giulio- che nasconde la verità, che adesso finalmente esplode: Su incarico della sua docente, Giulio doveva svolgere una indagine fra gli oppositori del governo di Al Sisi, il che equivaleva a dichiararsi davanti all'intelligence egiziana come un inviato dei Fratelli Musulmani. In un paese islamico, dove i diritti sono stabiliti dalla Sharia, significa essere una spia, torture e condanna a morte. E' la sua docente a Cambridge che dovrebbe essere giudicata e condannata.
Giuliano Foschini
Giulio Regeni, si era fidato della sua docente affiliata ai Fratelli Musulmani
Il sequestro, le torture e l’omicidio di Giulio Regeni portano la firma degli apparati del governo egiziano di Al Sisi. Ma a spingerlo verso l’orrore sono state le persone di cui si fidava e che avrebbero dovuto proteggerlo: gli "amici" del Cairo, che lo hanno venduto alla National security, il servizio segreto. E la sua professoressa di Cambridge, Maha Abdelrahman, che non lo ha protetto come avrebbe dovuto nel corso della ricerca. E poi ha incredibilmente mentito agli investigatori italiani, ostacolando le indagini. «Si è rivelata — scrivono il sostituto procuratore Sergio Colaiocco e il procuratore Michele Prestipino — l’assenza di volontà della professoressa di contribuire alle indagini relative alla tortura e all’omicidio del suo studente. Quali siano le ragioni di siffatta anomala condotta della professoressa non è stato possibile, sino a oggi, accertare». La leggerezza della docente All’esito delle indagini sono apparse chiare due cose: la consapevolezza della professoressa Abdelrahman che dietro la morte di Giulio ci fosse il suo lavoro, e dunque la ricerca che lei gli aveva commissionato. E le bugie sistematiche che la docente ha offerto ai nostri pm. È il 7 febbraio del 2016 e la professoressa Abdelrahman manda una mail a una sua collega canadese, distrutta. «Ho mandato un giovane ricercatore verso la sua morte…» scrive. «Indicare alle persone come fare ricerca è qualcosa che penso ma sento di non dover più fare». «Poche righe — segnalano i magistrati romani — che parlano di una donna profondamente colpita dagli eventi. E che sono rivelatrici non solo del rimorso ma anche della leggerezza che aveva caratterizzato la sua gestione del dottorando Regeni soprattutto nella fase di invio sul campo dello studente». Perché la procura parla di leggerezza? Negli atti vengono ricostruiti chiaramente i passi che hanno portato Regeni al Cairo. È il ricercatore italiano a chiedere alla docente di occuparsi di «politiche industriali in Egitto». «Una proposta — scrive la Procura — che trovava il consenso della prof ma generava anche qualche problema tra i due». È lei a spostare il tema dal generale al particolare: «I sindacati indipendenti nell’Egitto post Mubarak». Ma è lei a mentire davanti ai magistrati italiani subito dopo il funerale di Giulio, raccontando il contrario. «Giulio — dice — aveva scelto il tema». «Invece era stata lei a dare un’indicazione vincolante » segnala la nostra procura. Giulio aveva quindi subito la scelta. E ne era in un certo senso preoccupato. Lo dice a un suo amico: «La mia supervisor me disi — scrive in chat, Giulio, raffinato intellettuale amava scrivere in dialetto con i suoi amici — sta tranquilla, basta no far cazzade ma la verità è che basta poco … Mi so cosa far e no farma no voio creare potenziali problemi (…) Son anche mi che mi preoccupo più del necessario ma vivendo solo da tanti anni preferisco andar coi pie de piombo nelle situazioni». Questa chat è la prova che Giulio non era affatto sprovveduto. E parla delle sue preoccupazioni anche all’università, rispondendo a un questionario. «Mentre la mia metodologia di ricerca appare essere lineare — scrive — sono preoccupato per lo scenario altamente volatile attualmente presente in Egitto. Investigare sui sindacati in uno scenario post rivoluzionario potrebbe essere visto con sospetto da molti dei previsti intervistati e dalle autorità». «Ci sono tante persone che stanno conducendo delle ricerche in Egitto», lo aveva però liquidato la prof. Le menzogne della prof Giulio, invece, aveva ragione. È stato proprio il suo lavoro, inappuntabile, a far crescere le paranoie egiziane. A tutto questo, però, i magistrati sono arrivati con molta fatica. Questo, anche per le bugie della prof che la Procura mette in fila: «Individuazione della tutor al Cairo; scelta dell’oggetto della ricerca; l’incontro avuto con Giulio il 7 gennaio del 2016» che invece la professoressa aveva negato. Ha mentito persino su un regalo: Giulio l’aveva omaggiata con una copia di Gomorra, il libro di Roberto Saviano. Lei ha negato di averlo ricevuto. E invece è stato trovato a casa sua durante la perquisizione. «Infine, ma non certo per importanza, la circostanza che l’idea di chiedere un finanziamento alla Antipode sia da ricondurre alla stessa professoressa Abdelrahman. A sostegno della professoressa si erano schierati 300 accademici, anche italiani, che attaccarono Repubblica accusandola di essere «tendenziosa» e «fuorviante» per aver scritto che era stata la docente a «scegliere il tema di ricerca, i metodi». Cioè quello che oggi documenta la procura di Roma. «Da tutto quanto acquisito — concludono i magistrati italiani — non emerge alcun elemento, neanche indiziario, che possa far ritenere che Regeni avesse altro obiettivo se non quello dichiarato: portare avanti la ricerca per il suo dottorato. Diverso è a dirsi per quel che concerne la professoressa Abdelrahman. Le sue dichiarazioni e la sua condotta appaiono in parte contraddette dalle evidenze. In parte piene di ombre e di "non detto".
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