Riprendiamo dalla REPUBBLICA, di oggi 12/12/2020, a pag. 23, con il titolo "Ebrei e arabi insieme a Dubai per festeggiare le luci della pace" l'analisi di Sharon Nizza.
Sharon Nizza
Chanukkà a Dubai
La sensazione di assistere a un evento non ordinario si percepisce già al check-in all’aeroporto Ben Gurion, dove è un susseguirsi di selfie sullo sfondo del monitor che indica il volo Tel Aviv-Dubai. Quando poi si sorvola l’Arabia Saudita, che ha aperto a Israele lo spazio aereo riducendo di cinque ore la rotta, i cambiamenti in corso nella regione si mostrano proprio sotto agli occhi. Sono oltre 50mila gli israeliani che hanno acquistato, solo per dicembre, un biglietto per conoscere quella nuova parte di Medioriente che gli Accordi di Abramo hanno reso accessibile. C’è chi sceglie Dubai perché è una delle poche destinazioni aperte agli israeliani in tempi di Covid, ma la maggior parte dei passeggeri dei 12 voli quotidiani diretti disponibili dal 26 novembre è spinta dalla ricerca di opportunità di business e dalla voglia di vivere la sensazione, quasi ignota, di girare in un Paese arabo senza dover nascondere la propria identità. Vanessa, 29 anni, non è mai stata in Egitto e in Giordania «anche se siamo in pace, non mi sento benvenuta, mentre i racconti di chi è stato negli Emirati sono incredibili, mi fanno sperare in un futuro migliore».
Accanto a lei Samira, una signora di Gerusalemme Est, che benedice gli Accordi di Abramo «perché ora è molto più facile andare a trovare mia figlia che vive a Dubai». Arrivati a destinazione, gli israeliani si riconoscono subito e ovunque, vuoi per la kippà, vuoi per l’ebraico che risuona in continuazione. Per gli Emirati l’inondazione israeliana è una manna dal cielo, con il settore turistico falciato dal Covid. Eugenio Malatacca, italiano trapiantato a Dubai, dove ha aperto un’agenzia di viaggi boutique, non si è fatto sfuggire l’occasione e si è messo a studiare in tempi record le complesse regole alimentari ebraiche. «Ogni giorno mi arrivano almeno venti prenotazioni di israeliani. E sta per arrivare il mio primo gruppo interamente kosher». Arie Zribi ha invece organizzato pochi giorni fa il primo matrimonio ortodosso a Dubai. Giovedì, il giorno dell’accensione del primo lume della festa ebraica di Hannukkà, un enorme candelabro a otto bracci risaltava sullo sfondo del Burj Khalifa, l’imponente grattacielo simbolo della città. «Benedetto sii Tu, o Signore nostro Dio, Re dell’Universo, che ci hai permesso di raggiungere questa occasione », ha intonato il rabbino, caricando di molti significati la tradizionale preghiera che gli ebrei recitano nelle festività, ma anche per celebrare qualsiasi nuovo evento. «In quel momento ho pianto », dice Howard, imprenditore americano che da anni viaggia negli Emirati per lavoro.
In passato gli era capitato di frequentare la "Villa", la casa in cui Giacomo Arazi, uomo d’affari milanese, ospitava la piccola comunità di espatriati ebrei trapiantati a Dubai, per celebrare, in semi- clandestinità, le ricorrenze ebraiche. Era quasi surreale la visione di cinquecento persone che intonavano, nel cuore di Dubai, le tradizionali melodie ebraiche, e tra questi molti ebrei che nell’immaginario è più facile collocare a Bnei Berak o a Williamsburg. E poi venerdì sera la cena comunitaria dello Shabbat di Rav Elie Abadie, il rabbino di origini libanesi giunto da poco per guidare la comunità ebraica locale, che l’anno prossimo aprirà una prima scuola ebraica. A dare il benvenuto anche una rappresentante dell’ufficio governativo del turismo di Dubai. Tra i commensali, in visita privata, Ellie Cohanim, la vice dell’inviato speciale per la lotta all’antisemitismo del Dipartimento di Stato americano, ebrea nata in Iran. E Sara, una giovane emiratina che ci racconta che sua madre è ebrea - originaria del Kurdistan iracheno, che un tempo ospitava una grande comunità ebraica di lingua aramaica - ma che nessuno lo sapeva, fino alla svolta della normalizzazione con Israele. Helena ha portato con sé tutti i suoi numerosi nipoti. «Quello che accade qui è meraviglioso. C’è un rispetto incredibile e una voglia sincera di conoscerci. In fondo siamo cugini».
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