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Il Foglio Rassegna Stampa
10.12.2020 Calcio, razzismo e ipocrisia: se Erdogan il dittatore vuole insegnare il diritto all'Occidente
Commento di Luca Gambardella

Testata: Il Foglio
Data: 10 dicembre 2020
Pagina: 2
Autore: Luca Gambardella
Titolo: «L'immagine grottesca di Erdogan che tenta di darci lezioni di diritto»
Riprendiamo dal FOGLIO di oggi, 10/12/2020, a pag.2, con il titolo "L'immagine grottesca di Erdogan che tenta di darci lezioni di diritto", il commento di Luca Gambardella.

Erdogan's advisor: Turkey may suspend EU agreements if “double standards”  continue | New Europe
Recep T. Erdogan

Già al momento dei sorteggi dei gironi di Champions League era chiaro che quella fra Paris Saint-Germain e Basaksehir non sarebbe stata una partita come le altre. Tanto era nutrito il catalogo delle provocazioni reciproche accumulate nell'ultimo anno da Parigi e Ankara - Mediterraneo, risorse energetiche, Libia, estremismo islamico, vignette di Maometto - che oggi, a cose fatte, viene da chiedersi chi avrebbe potuto mai escludere un epilogo simile a quello andato in scena martedì sera al Parco dei Principi. Fra i mille pretesti che lasciavano prefigurare il patatrac, però, l'insulto razzista sembrava il meno quotato. Ma tant'è, ed ecco che ben altre storie, più grandi di una partita di calcio, hanno finito con l'intrecciarsi grottescamente con le parole - semplicemente sbagliate, perché irrispettose - pronunciate a bordo campo nei confronti di un giocatore di colore del Basaksehir, il camerunense Pierre Webo. Il protagonista inconsapevole della vicenda è stato un anonimo arbitro di nome Sebastian Coltescu, nazionalità rumena, 43 anni di cui 16 trascorsi sui campi da gioco fra Romania e competizioni internazionali. La stampa di mezza Europa si è subito lanciata alla ricerca di altre macchie presenti nel curriculum dell'arbitro. Gioco facile, dato che la carriera di molti fischietti è talvolta tormentata da accuse isteriche, per direzioni considerate corrotte o parziali. E' successo allora che, qualche tempo fa, anche Coltescu sia stato sospeso in seguito a un arbitraggio discutibile in patria. In generale, parrebbe che nell'ultimo anno ("un anno da incubo", ha tenuto a precisare la Gazzetta dello Sport) le cose per il fischietto rumeno non siano andate troppo bene, avendo pure tentato il suicidio, forse per via di una delusione amorosa. Di tutto questo a noi deve interessare il giusto. Ciò che conta è che Coltescu ha detto quello che non è assolutamente consentito dire "tipul acesta negru", quel ragazzo nero -, anche in una competizione che si svena in campagne antirazziste a suon di "Respect". Ma come vuole l'ironia amara che sottende a questa storia, è successo pure che il sultano Recep Tayyip Erdogan abbia trovato l'opportunità di impartire lezioni al mondo intero e di venirci spiegare come funziona lo stato di diritto. Così ci ha fatto sapere via Twitter che lui è "contro ogni tipo di razzismo e discriminazione nello sport o altrove".

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La partita di calcio interrotta a Parigi

Non contento, il suo ministro degli Esteri, Mevlüt Çavusoglu, si è espresso in modo ancora più perentorio: "Sosteniamo l'onorevole posizione del Basaksehir (che ha deciso di abbandonare il capo di gioco, ndr) contro il razzismo, un crimine contro l'umanità". E ci mancherebbe altro, se non fosse che oggi a usare toni tanto gravi è lo stesso che da tempo gioca con i diritti umani come fossero svolazzi inutili. Non è la prima volta che Erdogan si diletta con speculazioni capziose a proposito di razzismo. Nel 2018 aveva preso le difese di Mesut Özil, il calciatore tedesco di origini turche che aveva deciso di abbandonare la nazionale della Germania in segno di dissenso con l'opinione pubblica tedesca, che l'aveva accusato di sostenere Erdogan in vista del voto di giugno di quell'anno. Un chiaro caso di "atteggiamento razzista", accusò Özil, a cui fece eco lo stesso presidente turco. All'epoca fu Deniz Naki a smascherare l'ipocrisia della vicenda. Calciatore curdo, Naki era stato condannato a 18 anni di carcere con l'accusa di terrorismo semplicemente perché, invece, aveva detto di essere sostenitore di Selahattin Demirtas, dell'Hdp, partito rivale all'Akp di Erdogan. Quello, per intenderci, che secondo il sultano vantava finanziamenti della "lobby armena e di quella omosessuale". "Dove eri quando succedeva tutto questo?", fece notare allora il calciatore curdo a Özil. Oggi, mentre il presidente turco incarcera migliaia di avvocati, magistrati, giornalisti, attivisti, oppositori e cavalca crisi regionali - in ultimo quella nel Nagorno-Karabakh, in cui si è schierato al fianco dell'Azerbaijan contro gli armeni - la sua lezione sui diritti umani stona anche se si guarda alla storia recente del Basaksehir. E' la squadra del quartiere cristiano di Istanbul, un club semi insignificante fino dal 2014, quando ha cominciato a incassare i finanziamenti di diversi uomini d'affari vicini a Erdogan, fino a diventare campione di Turchia lo scorso campionato. In molti definiscono oggi il Basaksehir il volto sportivo della politica nazionalista di Erdogan. Nell'ottobre 2019, al termine di una partita di Europa League contro il Wolfsberger, i giocatori rivolsero il saluto militare come manifestazione del loro sostegno all'esercito, impegnato nell'invasione del Rojava, nel nord della Siria, lanciata con lo scopo di decimare i curdi che nel frattempo erano stati abbandonati nella loro guerra contro lo Stato islamico. Nulla di nuovo, si dirà, perché calcio e politica vanno a braccetto da sempre in Turchia. E proprio per questo, l'episodio di Parigi non è solamente da stigmatizzare, ma è anche il nuovo capitolo di una partita più ampia che Erdogan ha iniziato da tempo, quella fatta di strumentalizzazioni e provocazioni lanciate con ipocrita disinvoltura.

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