Riprendiamo dalla REPUBBLICA di oggi, 07/12/2020, a pag. 14, con il titolo "Guerre e terrorismo. Cristiani in fuga dal Medio Oriente", la cronaca di Vincenzo Nigro; a pag. 15, con il titolo "Warda: 'Siamo i più perseguitati Europa e Stati Uniti ci salvino' ", l'intervista di Gianni Vernetti.
Ecco gli articoli:
Vincenzo Nigro: "Guerre e terrorismo. Cristiani in fuga dal Medio Oriente"
Vincenzo Nigro
C’erano un milione e 200 mila cristiani in Iraq prima del 2003. Dopo la guerra di Bush diventarono 300mila. Ancora, dopo la guerra e il genocidio dell’Isis, dal 2014 a circa il 2017, sono scesi a poco più di 100mila, al massimo 120mila. L’Iraq è il luogo in cui i cristiani di Medio Oriente hanno affrontato le sofferenze, per persecuzioni, le violenze peggiori. E il risultato è uno soltanto, la scomparsa progressiva dei fedeli di Cristo dalle regioni dove il cristianesimo era nato. Sempre in Iraq i giorni fra il 9 e il 10 giugno 2014 verranno ricordati per anni: in quelle ore i miliziani del califfo Al Bagdadi riuscirono, in poche migliaia, a far fuggire più di 20mila soldati e poliziotti dell’esercito federale iracheno. Si scagliarono contro gli sciiti, gli yazidi e i cristiani. In poche ore da Mosul fuggirono 35mila cristiani, si spostarono verso i villaggi della Piana di Ninive. Ma anche questa cittadina cadde il 6 agosto dello stesso anno, assieme a tutti i villaggi che da secoli avevano visto l’antica presenza di fedeli cristiani. Alessandro Monteduro, di “Aiuto alla Chiesa che Soffre”, ricorda che i cristiani, come un popolo in preda al terrore, si rifugiarono nei territori curdi, dilagarono innanzitutto ad Erbil e nei dintorni delle maggiori città della regione autonoma: «Da allora abbiamo fatto di tutto per sostenere e difendere i cristiani in Iraq». In pochi mesi la solidarietà internazionale permise ad “Acs” di far sì che tutti i cristiani lasciassero i container in cui vivevano ed entrassero in abitazioni, i cui fitti vengono pagati dalle Ong cristiane. «Adesso - dice sempre - , poco alla volta i fedeli sono rientrati nei villaggi della Piana di Ninive: paesi completamente distrutti, in cui le chiese e ogni minimo simbolo cristiano erano stati distrutti, vandalizzati». In Siria prima della guerra civile i cristiani erano oltre 1 milione e 200mila: oggi sono tra i 500 e i 550.000. I sacerdoti colpiti nel Paese sono stati molti: il gesuita olandese padre Frans van der Lugt, ucciso ad Homs nel 2014, padre Francois Murad, ucciso a Ghassanieh nel 2013; di padre Dall’Oglio e due vescovi ortodossi, rapiti ormai da 6 anni, non si sa più assolutamente nulla. In Libano gli anni della guerra civile, il lungo periodo di crisi economica, la fase espansionistica dell’Iran (con il sostegno potente agli sciiti di Hezbollah e di mala), hanno messo i cristiani in condizioni di profonda difficoltà. Per molti di loro, che hanno forti connessioni in Francia, in Europa e negli Stati Uniti, l’emigrazione è spesso la strada preferita a una sopravvivenza sempre più difficile. Dopo le persecuzioni, la mancanza di un futuro economico cancellerà i cristiani del Medio Oriente? Nel 1900 in tutta la regione erano il 12,7% della popolazione: oggi sono il 4,2%, e verso il 2050 scenderanno al 3,7%. Le proiezioni per il 2050 sono basate sul trend comunque negativo in Iraq, sul disastro della guerra civile in Siria ma anche sulla difficile situazione per i cristiani ortodossi in Egitto. Gli spostamenti, gli esodi all’interno della regione si stanno trasformando in una fuga verso altri continenti. Un’emigrazione definitiva.
Gianni Vernetti: "Warda: 'Siamo i più perseguitati Europa e Stati Uniti ci salvino' "
Gianni Vernetti
Bashar Warda
Bashar Warda, 51 anni, è arcivescovo della Chiesa cattolica caldea dell’Iraq. Da molti anni è una delle voci più autorevoli ed ascoltate per le sue costanti denunce dei rischi di scomparsa delle comunità cristiane in Iraq e in tutto il Medio Oriente. Ha da poco fondato l’Università Cattolica di Erbil e lo raggiungiamo telefonicamente nel quartiere di Ankawa, il cuore cristiano della città di Erbil, nel Nord dell’Iraq e capoluogo del Kurdistan. La comunità cristiana in Iraq è una delle più antiche del mondo ed ha resistito agli attacchi terroristici ed alla persecuzione per mano delle milizie jihadiste.
Ci può raccontare qualcosa sulla situazione oggi della comunità cristiana in Iraq? «La poca sicurezza e l’instabilità sono una minaccia costante per la comunità cristiana in Iraq. I cristiani sono fuggiti in massa da Bagdad e da Bassora verso il Nord dopo la guerra del 2003. Poi con l’aggressione dell’Isis nel 2014 c’è stato un secondo esodo dalla Piana di Ninive e da Mosul. Oggi purtroppo non ci sono ancora le condizioni di sicurezza per potere permettere alle famiglie cristiane di tornare nelle loro terre. Sia a livello locale che internazionale manca la volontà per imporre una soluzione equa per i torti subiti e per proteggere coloro che da soli non si possono difendere. Se questa tendenza non sarà invertita, la comunità cristiana potrebbe estinguersi del tutto in Iraq nei prossimi trent’anni.
L’Occidente e la comunità internazionale dovrebbe fare di più per difendere le minoranze cristiane in Medio Oriente? «Assolutamente si. Rivolgo un appello all’Unione europea, agli Stati Uniti, alla Gran Bretagna affinché promuovano politiche concrete per difendere il nostro diritto ad esistere. Il rischio che le nostre antiche comunità si estinguano del tutto è purtroppo reale. I consolati di tutti i Paesi occidentali a Erbil sono a pochi chilometri da Sinjar e dalla Piana di Ninive: stiamo scomparendo dalla nostra terra proprio di fronte ai loro occhi. E non siamo l’unica minoranza minacciata. Pensi a quanto successo agli yazidi per mano dei jihadisti dell’Isis. Con le nostre poche risorse abbiamo cercato anche noi di aiutarli fornendo 24 borse di studio a studenti yazidi nell’Università Cattolica di Erbil, che accoglie anche studenti musulmani. La Conferenza episcopale italiana ci ha sostenuto molto in questi anni e ne siamo grati».
Continuano a giungere rifugiati nell’area sicura del Kurdistan iracheno e prosegue l’esodo verso l’Usa e l’Europa? «Abbiamo accolto l’altr’anno 576 famiglie di cattolici siriani che ora sono in attesa di un visto per l’Australia, il Canada e gli Stati Uniti. Nel frattempo la crisi economica, peggiorata dalla pandemia del Covid, ha reso la vita dei rifugiati estremamente difficile, direi disperata. Abbiamo altre 2.500 famiglie che non possono ancora tornare a Mosul e che cerchiamo di sostenere fra mille difficoltà, con la disoccupazione che qui ha raggiunto 70 per cento».
Le comunità cristiane rischiano di scomparire in Iraq e in tutto il Medio Oriente. Ci può fornire qualche dato sulle dimensioni di questa crisi? «Prima del 2003 c’erano in Iraq oltre 1 milione e trecentomila cristiani. Oggi ne sono rimasti meno di trecentomila. Quando non c’è lavoro, non sono garantiti diritti alle minoranze e senza sicurezza, la fuga e la diaspora sono purtroppo la scelta di molti».
Crede che in Medio Oriente il dialogo interreligoso e la coesistenza possano prevalere sulla violenza e sulla segregazione? «È senza dubbio la strada da seguire, ma vorremmo anche su questo terreno una comunità internazionale molto più attiva. Non bastano le dichiarazioni e qualche conferenza internazionale. Che cosa è stato fatto di concreto in occidente per fermare la fuga dei cristiani dall’Iraq e dal Medio Oriente e per difendere davvero la libertà religiosa? Troppo poco. E oggi il cristianesimo è diventata la religione più perseguitata e minacciata al mondo. Quando si tratta di difendere il cristianesimo in Medio Oriente non vedo molte voci che si levano. I cristiani hanno vissuto in Iraq per duemila anni e siamo parte della ricchezza culturale e spirituale di queste terre a prescindere da quanti siamo rimasti. Ma oggi la nostra comunità corre un rischio enorme, direi esistenziale».
Qual è a suo giudizio la chiave per evitare la scomparsa del cristianesimo in Medio Oriente e per proporre un modello di coesistenza pacifica? «Innanzitutto la libertà politica e religiosa, la libertà di credere in ciò che vuoi credere; poi naturalmente lo sviluppo: lavoro, opportunità, diritti. Ma forse la chiave più importante è l’educazione, un’educazione in grado di formare menti libere con pensiero critico. I cristiani non sono mai stati una minaccia per nessuno in Iraq e in questi 2.000 anni siamo stati apprezzati per il grande contributo che abbiamo fornito a tutte le comunità. Qui in Kurdistan abbiamo costruito scuole, ospedali, una università. Durante la pandemia nei nostri ospedali abbiamo curato tutti, senza guardare al loro credo, alla loro etnia o al loro portafogli».
Come sarà questo Natale per i cristiani in Iraq e in tutto il Medio Oriente? «Celebreremo con gioia e speranza la nascita di Cristo. La nostra comunità è molto unita e il Natale ci avvicina ancora di più. Nelle chiese di Erbil lo celebreremo insieme agli uomini ed alle donne dell’esercito e della polizia curde che saranno lì con noi per difenderci da chi vorrebbe la scomparsa totale della nostra fede. Questa è la nostra vita come cristiani in Medio Oriente. Siamo una Chiesa sofferente e martire per la nostra fede in Cristo e nella Sua Parola».
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