L’Egitto e gli Accordi di Abramo
Analisi di Michelle Mazel
(Traduzione di Yehudit Weisz)
La normalizzazione che si fa ogni giorno più concreta tra Israele e i Paesi del Golfo non può non coinvolgere gli egiziani. Dal contadino ignorante, come ce ne sono ancora troppi nelle zone rurali, a famosi docenti, dai media all'esercito o semplicemente all'egiziano medio, tutti si sentono infastiditi da tale evento straordinario. L'Egitto è stato il primo Paese arabo a fare la pace con Israele; eppure, più di quarant'anni dopo lo storico viaggio del presidente Sadat a Gerusalemme e l'apertura dell'ambasciata israeliana al Cairo, non si intravedono i risultati di questa pace.
Nel frattempo, le compagnie aeree degli Emirati Arabi Uniti stanno aumentando i collegamenti aerei con Israele, forniti da El Al e Arkia, e dozzine di voli settimanali sono programmati per soddisfare la domanda salita alle stelle. Si susseguono le delegazioni. Si concretizzano gli investimenti. Dalla finanza all'agricoltura, dalle comunicazioni all'alta tecnologia, la cooperazione sta prendendo forma e si sta delineando uno straordinario boom economico a beneficio delle parti interessate, che se ne compiacciono pubblicamente. I ministri degli Emirati e del Bahrein, alcuni appartenenti alla famiglia reale del loro Paese, si susseguono in Israele, moltiplicando il numero di interviste ai media israeliani, televisione compresa. Gli egiziani sono quelli rimasti indietro in questa improvvisa prosperità. E sanno che possono incolpare solo se stessi. Israele non chiedeva niente di meglio che trasformare una pace formale in una realtà quotidiana. Gli allegati al trattato di pace firmato nel 1979 avrebbero dovuto inaugurare una cooperazione reciprocamente vantaggiosa per questi due Paesi vicini. Dopo un inizio potenzialmente promettente, le porte si sono chiuse, una dopo l’altra. Non c’è più traccia dei cinque voli settimanali di El Al per la capitale egiziana. I locali dell'ambasciata israeliana a Giza sono stati presi d'assalto da una folla inferocita nel settembre del 2011 e le coraggiose guardie della sicurezza si sono salvate solo grazie all'intervento in extremis del Presidente Obama che ha preso il suo telefono per chiamare il presidente della giunta militare, che si era rifiutato di rispondere ad una chiamata del Primo Ministro israeliano. Oggi la rappresentanza diplomatica di Israele funziona al rallentatore con un piccolo staff. Certo, i rapporti di sicurezza tra i due Paesi sono ottimi, ma rimangono nell'ombra. Si può tranquillamente affermare che hanno visitato Israele più dignitari degli Emirati e del Bahrein dalla firma degli accordi di Abramo di poche settimane fa, che quelli egiziani in dieci anni.
Come spiegare ciò che sembra inspiegabile? La verità ci obbliga a dire che gli egiziani hanno subìto un doppio indottrinamento dopo gli accordi di pace. Ci sono prima di tutto le “élite” intrise di nazionalismo incapaci di accettare l'esistenza di uno Stato ebraico e che, non appena è stata firmata la pace, hanno lanciato un anatema su qualsiasi manifestazione di normalizzazione. La gente comune invece era più favorevole, nella speranza che quella pace avrebbe migliorato il suo destino. Ciò non è accaduto, in gran parte a causa dell'ostruzionismo delle élite. Poi è entrato in gioco il secondo fenomeno: il fanatismo religioso e il virulento antisemitismo dei Fratelli Musulmani, un movimento nato come sappiamo in Egitto nel 1928. Tra le moschee e la stampa scatenata, si è gradualmente creata un'atmosfera di odio. Lo si è visto di recente, quando uno degli attori più famosi del Paese è stato messo alla gogna e portato in tribunale. Il suo crimine? Farsi fotografare con il cantante israeliano Omer Adam a Dubai.
Michelle Mazel scrittrice israeliana nata in Francia. Ha vissuto otto anni al Cairo quando il marito era Ambasciatore d’Israele in Egitto. Profonda conoscitrice del Medio Oriente, ha scritto “La Prostituée de Jericho”, “Le Kabyle de Jérusalem” non ancora tradotti in italiano. E' in uscita il nuovo volume della trilogia/spionaggio: “Le Cheikh de Hébron".