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Il Sole 24 Ore Rassegna Stampa
06.12.2020 Willy Brandt a Varsavia 50 anni dopo
Commento di David Bidussa

Testata: Il Sole 24 Ore
Data: 06 dicembre 2020
Pagina: 7
Autore: David Bidussa
Titolo: «Un gesto rivoluzionario»

Riprendiamo dal SOLE24ORE/DOMENICA di oggi, 06/12/2020, a pag.7 con il titolo "Un gesto rivoluzionario" il commento di David Bidussa.

Immagine correlata
David Bidussa

Warschauer Kniefall, Willy Brandt falls to his knees, 1970 - Rare  Historical Photos
Willy Brandt a Varsavia nel 1970

Periodicamente torna prepotente in Europa la domanda: "Chi siamo?", o meglio ancora "Chi vogliamo essere?", domanda a cui in tutti questi anni ancora non abbiamo dato una risposta forte e univoca. Il primo a metterci definitivamente davanti a questo nodo da sciogliere è stato William Brandt, la mattina del 7 dicembre 1970. Quella mattina Herbert Ernst Karl Frahm, al secolo Willy Brandt, cancelliere della Repubblica federale tedesca, è a Varsavia per firmare uno storico trattato che riconosce le linee di frontiera successive al 1945. Un atto che è, anche, la riconciliazione con il Paese invaso dall'esercito della Germania del III Reich poco più di trent'anni prima, il 1° settembre 1939. Nei mesi precedenti, per l'esattezza il u agosto, Brandt era stato a Mosca per firmare un analogo accordo. Il protocollo del viaggio in Polonia era scritto e imposto. Prima della firma occorre «regolare i conti con a passato» e quindi, la mattina, rendere omaggio al Monumento ai Caduti; poi andare al Monumento agli Eroi del ghetto di Varsavia Nel pomeriggio la firma e la ratifica dell'accordo. Brandt dunque si reca al monumento dei Caduti. Depone una corona di alloro, mette la sua firma nel libro dei visitatori. La scena è composta. Poi giunge al Monumento agli Eroi. Accompagna la deposizione della corona... fa un passo indietro. E si inginocchia. Tutte le riprese di quella scena registrano il silenzio, inquadrano lo sguardo dei giornalisti intorno e delle autorità polacche completamente superati dal gesto, non una parola si sente. Anni dopo, tornando a quel momento, Brandt scrive: «Mi è stato chiesto molte volte che cosa significasse quel gesto. Era stato forse premeditato? No, non lo era stato. [...]. Non avevo alcun piano, ma avevo fasciato il castello di Wilanow, dov'ero alloggiato, con la sensazione di dover esprimere la particolarità della commemorazione dovuta al monumento del ghetto. Di fronte all'abisso della storia tedesca e sotto il peso di milioni di esseri umani assassinati, fece quello che gli uomini fanno quando la parola viene a mancare» [Brandt, Memorie, Garzanti, pp. 227-2281 Dunque Mosca e poi Varsavia, il percorso allora più breve per riuscire ad arrivare a Berlino Est, l'altra metà della città di cui era stato borgomastro (3 ottobre 1957- i dicembre 1966). Discutere di Berlino voleva dire aprire un varco nella divisione sancita dal Mum. È quello che avverrà il 3 settembre 1971 con l'accordo tra le due Germanie in cui si stabilisce che i cittadini di Berlino Ovest potevano recarsi in visita nella Ddr e a Berlino Est; era consentito il traffico stradario, fluviale, ferroviario; possibile andare al di là del Muro non solo per motivi familiari, ma anche per ragioni umanitarie, religiose, culturali, turistiche. Riaprire il flusso con la Germania Est significa, per Brandt, pensare anche a una Europa nuova, oltre le divisioni Dunque il Cancelliere della Repubblica federale tedesca doveva compiere vari riti di passaggio, tutti segnati dal trovare la via della distensione e della riconciliazione. La Germania rimaneva ancora, al di là dell'Elba, il Paese invasore che trent'anni prima, in maniera fulminea, aveva dissolto la Repubblica di Polonia in tre settimane, in meno di un anno, "agguantato" buona parte dell'Europa sud-orientale. Era il Paese che ricordava un genocidio (in quel momento rimaneva ancora ambigua la distinzione tra ebrei polacchi e polacchi, per le genti di Polonia). Forse mai, nella storia, superare la soglia di un confine è stato un percorso così lungo. Ma allo stesso tempo, proprio perché superarlo non era il risultato di un accordo diplomatico ma la conseguenza di un atto che inaugurava un nuovo tempo, occorreva che la politica si concretizzasse in un gesto, non solo nelle buone intenzioni o nelle parole di prammatica delle dichiarazioni Quel gesto, per non essere solo "teatro", ha senso se indica un progetto: è quello che accade a Varsavia, il 7 dicembre di cinquant'anni fa. Oggi, come opportunamente ha ricordato Guido Crainz [in Calendario civile europeo, Donzelli, p. 297 e sgg.],ci dobbiamo chiedere almeno due cose su quella scena e che hanno diretta relazione con il nostro presente. La prima La storia europea è un coacervo di conflitti inconciliabili. Lo conferma l'approvazione, il 19 settembre 2019, della "Risoluzione sull'importanza della memoria europea per il futuro dell'Europa" da parte dei Ventisette a Bruxelles. Gli Stati una volta sotto controllo sovietico non si limitano a porre sul tavolo la condivisione della memoria della loro oppressione. Chiedono che quel passato sia l'identità dell'Europa, mettendo da parte la memoria dei razzismi, delle intolleranze e degli antisemitismi. Quei sentimenti e quelle politiche non furono solo della Germania nazista, ma agivano nella Polonia, nell'Ungheria delle croci frecciate, nella Romania di Corneliu Codreanu, nella Slovacchia di Ante Pavelic e Viktor Stepinac. Significativamente quelle società, profondamente affette da narrazione vittimista, non hanno fatto mai davvero i conti con il loro passato prossimo. La seconda Fare l’Europa voleva dire pensarsi non come «luogo terzo e neutro» rispetto ai due poli dellaGuerra fredda, ma dotarsi, tra l'altro, di una politica estera, di una linea di geopolitica, di una propria lasse di politici più che di tecnici. Settanta anni dopo i primi timidi passi; 5o anni dopo la crisi economica di Bretton Woods (la separazione del dollaro dall'oro) che inaugura la fine del «secondo dopoguerra»; 30 anni dopo il crollo del Muro a Berlino, il tema del rapporto Est/Ovest in Europa è ancora tutto irrisolto davanti a noi. Le spaccature delle ultime settimane sul tema del bilancio europeo cosa sono, se non la manifestazione di questo vuoto? Brandt ne era consapevole. «Il frazionamento del nostro continente dovrà essere superato, gradualmente, ma in maniera definitiva»: è un passo del discorso che pronunciai nel novembre 1989, a Piazza Kennedy a Berlino, il giorno dopo il crollo del Muro. Siamo ancora lì, incerti, allo stesso bivio.

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