Mohammed Bin Salman
Quali cambiamenti crede che ci potranno essere in Medio Oriente con un’Amministrazione Biden? «Ci auguriamo che la nuova Amministrazione ascolti i suoi alleati. Vogliamo aiutare gli Stati Uniti come abbiamo sempre fatto, per raggiungere obiettivi comuni: una regione stabile e libera da terrorismo ed estremismo».
Lo sviluppo più importante degli ultimi mesi in Medio Oriente sono stati gli Accordi di Abramo fra Israele, gli Emirati arabi uniti e il Bahrein. Si è parlato molto della possibilità che anche l’Arabia Saudita si unisca. Che cosa dovrebbe cambiare perché questo accada? «Abbiamo sempre appoggiato ogni forma di normalizzazione, ma perché l’Arabia Saudita faccia un passo occorre un accordo fra israeliani e palestinesi. Crediamo che sia fondamentale, perché senza una soluzione negoziale alla questione israelo-palestinese continueremo ad avere instabilità e ogni intesa di normalizzazione continuerà a soffrirne. La cosa più importante secondo noi è trovare la strada per una soluzione che garantisca ai palestinesi uno Stato, dignità e sovranità lungo le linee di ciò che è previsto nel Piano di pace arabo del 2002: i confini del 1967, Gerusalemme Est capitale in una forma che i palestinesi ritengano accettabile».
Crede che la leadership palestinese sia pronta a tornare al dialogo dopo questo accordo? «Non spetta a noi decidere come i palestinesi debbano aprire il confronto. Possiamo solo supportarli come sempre fatto».
Un altro punto caldo per il Golfo è l’embargo al Qatar, da voi decretato tre anni fa. Negli ultimi giorni sembra che ci siano stati progressi per una soluzione della crisi: ce lo può confermare? «Abbiamo fatto progressi nelle ultime settimane e soprattutto negli ultimi giorni. C’è la possibilità di una soluzione: sono ottimista».
E in Yemen? «In Yemen più che ottimista mi definirei impegnato nel trovare una soluzione. Ma dobbiamo essere in due per risolvere la questione: se una parte dichiara il cessate il fuoco e l’altra, in questo caso gli Houthi, continua ad attaccare, è evidente che non si arriva a una soluzione».
Con le condanne emesse qualche mese fa per alcuni membri del commando che ha ucciso il giornalista Jamal Khashoggi, l’Arabia Saudita ritiene la vicenda chiusa: ma alcuni membri della squadra di Biden sostengono che la questione non sia conclusa e si sono detti pronti a chiedere spiegazioni al suo Paese. Siete disposti a riaprire questo capitolo? «Crediamo di aver riconosciuto le responsabilità dei colpevoli attraverso il processo e abbiamo preso le misure necessarie per riformare i nostri servizi di sicurezza ed essere certi che atti orribili come questo non si ripetano. Siamo pronti a condividere con gli americani gli sforzi fatti in questa direzione. Anche noi siamo rimasti scioccati da questa vicenda, come il resto del mondo».
In carcere in Arabia Saudita ci sono da due anni alcune attiviste che a lungo hanno chiesto le stesse riforme che il suo governo sta attuando: alcune hanno denunciato di essere state torturate e abusate sessualmente. Perché sono in cella? E perché saranno processate da una corte anti-terrorismo? «Come ha detto lei, abbiamo fatto le riforme che chiedevano. Il che vuol dire che queste donne non sono in carcere per questo. Sono accusate di crimini seri contro la sicurezza nazionale, connessi a trasferimento di documenti e informazioni segrete a Stati che non sono alleati del regno e di questo dovranno rispondere ai giudici».
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