sabato 23 novembre 2024
CHI SIAMO SUGGERIMENTI IMMAGINI RASSEGNA STAMPA RUBRICHE STORIA
I numeri telefonici delle redazioni
dei principali telegiornali italiani.
Stampa articolo
Ingrandisci articolo
Clicca su e-mail per inviare a chi vuoi la pagina che hai appena letto
Caro/a abbonato/a,
CLICCA QUI per vedere
la HOME PAGE

vai alla pagina twitter
CLICCA QUI per vedere il VIDEO

Lo dice anche il principe saudita Bin Salman: Khamenei è il nuovo Hitler


Clicca qui






La Repubblica Rassegna Stampa
05.12.2020 Biden, non sprecare l'eredità di Trump, te lo chiede l'Aarabia Saudita
Francesca Caferri intervista Faisal bin Farhan Al Saud

Testata: La Repubblica
Data: 05 dicembre 2020
Pagina: 14
Autore: Francesca Caferri
Titolo: «Bin Farhan: 'Sull’Iran Biden ascolti gli alleati nella regione'»

Riprendiamo da REPUBBLICA di oggi, 05/12/2020, a pag.14 con il titolo "Bin Farhan: 'Sull’Iran Biden ascolti gli alleati nella regione' ", l'intervista di Francesca Caferri.

A destra: Faisal bin Farhan Al Saud

Immagine correlata
Francesca Caferri

A 46 anni, il principe Faisal bin Farhan Al Saud è uno dei volti nuovi dell’Arabia Saudita che suo cugino, il principe ereditario Mohammed bin Salman, detto Mbs, sta disegnando. Ex consigliere, appunto, di Mbs e dell’ambasciata saudita negli Stati Uniti, Bin Farhan dal 2019 è ministro degli Esteri: ieri è intervenuto al “Med – Mediterranean dialogue” organizzato dall’Ispi, l’Istituto italiano di Studi internazionali, e ha concesso a Repubblica questa intervista esclusiva. Il 2021 si aprirà con una nuova Amministrazione americana: gli ultimi due presidenti, Barack Obama e Donald Trump, hanno avuto un approccio molto diverso alla sua regione e in particolare alla questione iraniana.

Biden promette di tornare a un accordo con Teheran sulla questione nucleare. Un approccio sul quale il suo Paese non si è trovato d’accordo in passato: quali condizioni ritiene che l’Iran dovrebbe rispettare perchè ci sia un nuovo accordo? «Il dialogo può essere una buona idea ma solo se punta ad affrontare tutte le questioni che generano preoccupazione da parte degli iraniani. Nell’accordo sul nucleare (JCPOA) ci sono diversi punti deboli e uno di essi era lo scenario di lungo periodo, come è diventato evidente nelle ultime settimane: l’Iran, nonostante a lungo abbia rispettato i termini imposti dall’accordo, è riuscito in poco tempo a tornare ad arricchire uranio. E questo non va bene: occorre un divieto permanente all’arricchimento di uranio e occorre affrontare la questione delle ispezioni, perché ci sono siti militari e segreti su cui ci sono stati vincoli per gli ispettori. Inoltre non è mai stata affrontata la questione delle attività regionali dell’Iran: invece di usare le iniezioni di denaro ottenute grazie all’accordo per rilanciare l’economia, Teheran le ha investite per appoggiare Bashar al Assad in Siria, Hezbollah in Libano e gli Houthi in Yemen. Tutto ciò porta a continua instabilità: se la questione non sarà affrontata il rischio di escalation sarà costante».

Risultati immagini per Mohammed Bin Salman
Mohammed
Bin Salman

Quali cambiamenti crede che ci potranno essere in Medio Oriente con un’Amministrazione Biden? «Ci auguriamo che la nuova Amministrazione ascolti i suoi alleati. Vogliamo aiutare gli Stati Uniti come abbiamo sempre fatto, per raggiungere obiettivi comuni: una regione stabile e libera da terrorismo ed estremismo».

Lo sviluppo più importante degli ultimi mesi in Medio Oriente sono stati gli Accordi di Abramo fra Israele, gli Emirati arabi uniti e il Bahrein. Si è parlato molto della possibilità che anche l’Arabia Saudita si unisca. Che cosa dovrebbe cambiare perché questo accada? «Abbiamo sempre appoggiato ogni forma di normalizzazione, ma perché l’Arabia Saudita faccia un passo occorre un accordo fra israeliani e palestinesi. Crediamo che sia fondamentale, perché senza una soluzione negoziale alla questione israelo-palestinese continueremo ad avere instabilità e ogni intesa di normalizzazione continuerà a soffrirne. La cosa più importante secondo noi è trovare la strada per una soluzione che garantisca ai palestinesi uno Stato, dignità e sovranità lungo le linee di ciò che è previsto nel Piano di pace arabo del 2002: i confini del 1967, Gerusalemme Est capitale in una forma che i palestinesi ritengano accettabile».

Crede che la leadership palestinese sia pronta a tornare al dialogo dopo questo accordo? «Non spetta a noi decidere come i palestinesi debbano aprire il confronto. Possiamo solo supportarli come sempre fatto».

Un altro punto caldo per il Golfo è l’embargo al Qatar, da voi decretato tre anni fa. Negli ultimi giorni sembra che ci siano stati progressi per una soluzione della crisi: ce lo può confermare? «Abbiamo fatto progressi nelle ultime settimane e soprattutto negli ultimi giorni. C’è la possibilità di una soluzione: sono ottimista».

E in Yemen? «In Yemen più che ottimista mi definirei impegnato nel trovare una soluzione. Ma dobbiamo essere in due per risolvere la questione: se una parte dichiara il cessate il fuoco e l’altra, in questo caso gli Houthi, continua ad attaccare, è evidente che non si arriva a una soluzione».

Con le condanne emesse qualche mese fa per alcuni membri del commando che ha ucciso il giornalista Jamal Khashoggi, l’Arabia Saudita ritiene la vicenda chiusa: ma alcuni membri della squadra di Biden sostengono che la questione non sia conclusa e si sono detti pronti a chiedere spiegazioni al suo Paese. Siete disposti a riaprire questo capitolo? «Crediamo di aver riconosciuto le responsabilità dei colpevoli attraverso il processo e abbiamo preso le misure necessarie per riformare i nostri servizi di sicurezza ed essere certi che atti orribili come questo non si ripetano. Siamo pronti a condividere con gli americani gli sforzi fatti in questa direzione. Anche noi siamo rimasti scioccati da questa vicenda, come il resto del mondo».

In carcere in Arabia Saudita ci sono da due anni alcune attiviste che a lungo hanno chiesto le stesse riforme che il suo governo sta attuando: alcune hanno denunciato di essere state torturate e abusate sessualmente. Perché sono in cella? E perché saranno processate da una corte anti-terrorismo? «Come ha detto lei, abbiamo fatto le riforme che chiedevano. Il che vuol dire che queste donne non sono in carcere per questo. Sono accusate di crimini seri contro la sicurezza nazionale, connessi a trasferimento di documenti e informazioni segrete a Stati che non sono alleati del regno e di questo dovranno rispondere ai giudici».

Per inviare a Repubblica la propria opinione, telefonare: 06/49821, oppure cliccare sulla e-mail sottostante

rubrica.lettere@repubblica.it

Condividi sui social network:



Se ritieni questa pagina importante, mandala a tutti i tuoi amici cliccando qui

www.jerusalemonline.com
SCRIVI A IC RISPONDE DEBORAH FAIT