Riprendiamo da REPUBBLICA di oggi, 03/12/2020, a pag. 13, con il titolo "Biden: 'Pronti a rientrare nell’accordo nucleare se Teheran torna a rispettarlo' ", l'intervista di Thomas L. Friedman a Joe Biden.
Torna lo stile di Obama nella politica estera americana nei confronti dell'Iran terrorista degli ayatollah. La sua caratteristica è la fiducia nei confronti del regime di Teheran, con cui Biden si dice pronto a ripristinare l'accordo sul nucleare "a patto che venga rispettato". Ma in questi anni l'accordo è già stato violato molte volte dall'Iran, che ha continuato la corsa verso l'atomica: una corsa che sarà velocizzata da un eventuale nuovo accordo.
Ecco l'articolo:
Thomas L. Friedman
Barack Obama con Joe Biden
Il presidente eletto Joe Biden era di buon umore quando abbiamo parlato per un’ora al telefono martedì sera, lui in Delaware e io a Bethesda nel Maryland. Prima, però, si è scusato per il ritardo: stava seguendo le ultime notizie sull’annuncio del ministro della Giustizia William Barr, che ha dichiarato che il dipartimento della Giustizia non ha scoperto nessun broglio rilevante che possa aver influenzato i risultati delle elezioni presidenziali. È tutto finito. Scherzando, mi ha detto che Barr lo aveva appena chiamato per «chiedere se potevo inserirlo nel programma di protezione dei testimoni per avermi appoggiato». Considerando l’uragano trumpiano di false dichiarazioni, Biden aveva diritto a una piccola battuta a sue spese. Per il resto, ha parlato solo di questioni concrete. Gli ho chiesto solo una domanda personale: com’è vincere la presidenza in circostanze così peculiari, con una pandemia letale in corso e un’infodemia scatenata dalla propaganda trumpiana che afferma, senza fondamento, che l’elezione è stata truccata? «Sento di aver fatto qualcosa di buono per il Paese evitando che Donald Trump sia presidente per altri quattro anni», dice Biden. «Ma non è il momento per esultare. Una mia nipote si sta laureando con lode alla Columbia. Non ci sarà nessuna cerimonia di conferimento delle lauree. Sarò io a fare il discorso: virtuale. Questi ragazzi si laureano senza poter fare festa. È un momento così. C’è tantissimo lavoro da fare. Sono concentrato sul riuscire a fare alcune cose il più in fretta possibile ».
In che misura ci riuscirà dipenderà in buona parte da due cose, osserva. Una è come si comporteranno i repubblicani al Senato e alla Camera una volta che Trump avrà davvero lasciato il potere e l’altra è come si comporterà Mitch McConnell se continuerà a essere il presidente del Senato. La massima priorità, dice, è far approvare ai due rami del Parlamento un generoso pacchetto di stimoli economici, ancora prima di insediarsi. L’economia subirà un danno permanente se non affronteremo il fatto che «ci sono 10 milioni di persone lì fuori che si chiedono come fare a pagare la prossima rata del mutuo» e che «c’è un numero notevolmente più alto di persone che non è in grado di pagare l’affitto». Sulla politica estera, Biden dice due cose importanti. La prima riguarda l’Iran: gli chiedo se sull’accordo nucleare con Teheran conferma le opinioni che aveva espresso in un articolo pubblicato il 13 settembre sul sito della Cnn . Risponde: «Sarà complicato, ma sì». Aveva scritto che «se l’Iran tornerà a una stretta osservanza dell’accordo sul nucleare, gli Stati Uniti rientreranno nell’accordo come punto di partenza per successivi negoziati» e rimuoveranno le sanzioni imposte da Trump. È quello in cui sperano gli iraniani. Il ministro degli Esteri di Teheran, Javad Zarif, il 17 novembre ha detto che un ritorno a una piena implementazione dell’accordo da parte degli Stati Uniti e dell’Iran può essere «fatto automaticamente », «senza bisogno di ulteriori negoziati ».
I collaboratori di Biden insistono che riportare sotto controllo il programma nucleare dell’Iran, e avere la possibilità di sottoporlo ad accurate sanzioni, è vitale per l’interesse nazionale dell’America. «Guardi, si fa un gran parlare di missili di precisione e tante altre cose che stanno destabilizzando la regione», dice Biden. Ma la verità è che «il modo migliore per riuscire a raggiungere una certa stabilità nella regione» è risolvere il problema del «programma nucleare». Se l’Iran dovesse procurarsi la bomba atomica, aggiunge, sauditi, turchi ed egiziani sarebbero fortemente tentati di procurarsela a loro volta. «E l’ultima, dannatissima cosa di cui c’è bisogno in quella parte del mondo è una corsa agli armamenti atomici». Poi, dice, «consultandoci con i nostri alleati e partner ci impegneremo in negoziati e accordi successivi per prorogare e rendere più stringenti le limitazioni sul nucleare iraniano, e anche affrontare il problema del programma missilistico». Gli Stati Uniti possono sempre riattivare le sanzioni, se necessario, e l’Iran questo lo sa, aggiunge. Riguardo alla Cina, dice che non prenderà misure immediate per rimuovere i dazi del 25 per cento imposti da Trump su circa metà delle esportazioni cinesi verso gli Stati Uniti, o la Fase 1 dell’accordo firmato da Trump con Pechino che impone al colosso asiatico di acquistare beni e servizi Usa per circa 200 miliardi di dollari in più nel 2020-2021, su cui la Cina è largamente indietro. «Non farò nessuna mossa nell’immediato e lo stesso vale per i dazi», dice. «Non intendo pregiudicare le mie opzioni». «La strategia migliore sulla Cina, secondo me, è una strategia che sia condivisa da tutti i nostri alleati, o almeno quelli che un tempo erano i nostri alleati. Sarà una delle massime priorità per me, nelle prime settimane della mia presidenza, cercare di tornare ad avere una linea comune con i nostri alleati». I leader cinesi hanno avuto i loro problemi con Trump, ma sapevano che fintanto che lui sarebbe stato alla presidenza gli Stati Uniti non sarebbero mai riusciti a stimolare una coalizione mondiale contro di loro. La strategia di Biden, se riuscirà a metterla in atto, non sarà una notizia gradita per Pechino. Mentre Trump si era focalizzato sul disavanzo commerciale con la Cina, con scarso successo a dispetto delle sue guerre commerciali, Biden dice che il suo «obbiettivo sarà portare avanti politiche commerciali che consentano di fare progressi reali sul problema delle pratiche scorrette della Cina, che trafuga la proprietà intellettuale, fa dumping sui prodotti, sovvenziona illegalmente le grandi aziende» e costringe le società americane a «trasferire tecnologia» alle loro controparti cinesi.
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