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Il Medio Oriente nell’era di Biden
Analisi di Antonio Donno A destra: Charles A. Kupchan
Su “Repubblica” di ieri, Charles A. Kupchan mette in rilievo due aspetti della politica estera dell’Amministrazione Trump che Biden avrebbe tutto l’interesse di riprendere in considerazione e sviluppare perché rappresentano due punti importanti per gli interessi futuri degli Stati Uniti: la riduzione della presenza militare americana in Medio Oriente e la questione dei commerci con la Cina. Kupchan ritiene, pur con le necessarie cautele di chi ha contrastato l’operato di Trump negli anni del suo mandato, che questo “lascito” del Presidente americano dovrebbe essere ripreso e rafforzato dalla nuova Amministrazione democratica di Joe Biden. “[…] Voltare semplicemente le spalle all’era Trump – scrive Kupchan – sarebbe un errore”.
Joe Biden Ma, nello stesso tempo, limitare l’impegno americano nel Medio Oriente semplicemente alla riduzione della presenza militare di Washington nella regione è un problema importante, ma insufficiente. In realtà, Kupchan non sfiora neppure le questioni-cardine della politica mediorientale di Trump: il ruolo politico dell’Iran nella regione e la sua corsa all’arma nucleare e le relazioni tra Israele e i Paesi arabi sunniti sanciti dagli Accordi di Abramo, con la mediazione americana. La spiegazione di questa mancanza sta nelle posizioni di una parte considerevole della prossima Amministrazione democratica, che lo studioso non intende affrontare perché non fanno parte del bagaglio politico che i democratici intendono mettere in campo come eredità degli anni di Trump. Così, mentre la questione del ritiro militare era già parte del progetto politico democratico, una volta conquistata la Casa Bianca, e quindi non rappresenta, in realtà, una svolta rispetto all’azione di Trump nella regione, cioè non è un “lascito” trumpiano, i rapporti con l’Iran e gli Accordi di Abramo potranno essere al centro di una disputa all’interno dei democratici, perché la sinistra del partito, Bennie Sanders in testa, farà sentire la sua voce sulla questione. Tuttavia, riprendere i contatti con l’Iran non potrà significare ripristinare sic et simpliciter gli accordi del Joint Comprehensive Plan of Action (Jpcoa), firmati da Obama nel 2015, perché nella parte più moderata del Partito Democratico è ben presente l’idea che quegli accordi hanno favorito la continuazione silenziosa del progetto nucleare di Teheran, tanto è vero – come è ben noto – che, all’interno dei documenti del Jpcoa il regime degli ayatollah ha voluto inserire la clausola che prevedeva il non accesso delle ispezioni internazionali alle parti più sensibili del proprio apparato difensivo, affermando di non poter rivelare informazioni che potessero mettere in pericolo la sicurezza nazionale dell’Iran. Di conseguenza, le ispezioni si sono dovute limitare ad analizzare soltanto le parti del sistema di difesa iraniano non implicate nel settore nucleare. Se la parte moderata del Partito Democratico si impegnerà a sollecitare il governo di Biden a rivedere aspetti essenziali del Jpcoa relativamente alla questione nucleare, allora si aprirà una disputa con gli oltranzisti del partito, i quali sono radicati nella convinzione che il lascito – quello reale – di Obama sul problema debba essere riproposto nei nuovi accordi.
Con grande soddisfazione del regime di Teheran. A questo punto, il ruolo del Presidente, e soprattutto del Segretario di Stato, Anthony Blinken, sarà essenziale nello smorzare le aspettative degli obamiani inseriti nell’Amministrazione. Biden e Blinken sono ben consapevoli che ripristinare gli accordi di Obama con Teheran potrebbe creare una scia di gravi reazioni all’interno del mondo mediorientale, compreso Israele, ovviamente. È irrealistico ritenere che gli Accordi di Abramo siano ridiscussi dalla nuova Amministrazione democratica. Sarebbe un grave passo indietro per la situazione del Medio Oriente. Il problema che, invece, tornerà al centro della politica democratica sarà quello palestinese, con tutti i riflessi che potrà avere nelle relazioni americane con Israele, non tanto con i paesi arabi sunniti, i quali – almeno a parole – hanno sempre affermato che la questione dei “fratelli” palestinesi resta un punto cruciale dell’assetto del Medio Oriente. La realtà è che dietro ai palestinesi si è collocato l’Iran, il quale, sperando in un ripristino integrale degli accordi obamiani del 2015, punta a rafforzare la sua presenza nella regione, già ben visibile in Siria e in Iraq.
Antonio Donno |
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