Il Rapporto Chruscev, ma quanti bei nomi…
Commento di Diego Gabutti
Il rapporto Chruščëv. La denuncia del culto della personalità, traduzione e commento d’Angelo Tasca, interventi di Leo Valiani, Riccardo Bauer, Franco Venturi e Aldo Garosci, Aragno 2016, pp. 196, 15,00 euro.
Fu un fulmine, ma non a ciel sereno. Nel 1956, quando il segretario generale del PCUS, erede (ed ex marionetta) del Padre dei popoli, denunciò i crimini di Stalin e annunciò il «disgelo», il cielo non aveva niente di sereno. C’era stata la guerra di Corea, vinta per un soffio dagli Stati Uniti, e il Vietnam del nord continuava a tentare d’annettersi il sud, abbandonato al suo destino (e alle cure della Casa Bianca) dai francesi. Pechino e Mosca, ancora per un po’, sarebbero andati d’amore e d’accordo. Un giorno (quasi ci siamo) del marxismo-leninismo – trasformato in uno scarno capitoletto nei manuali di storia, una paginetta veloce tra i capitoli sull’Islam e quelli sull’«islamismo» – resterà solo un vago ricordo.
Nikita Sergeevic Chruščëv
Anche allora, però, il cosiddetto Rapporto segreto di Nikita Sergeevic Chruščëv al XX congresso del partito comunista russo bolscevico conserverà intatta la sua drammaticità; agli occhi dei posteri, insieme ad Arcipelago Gulag di Solženicyn, suonerà come la parola definitiva sul XX secolo. Non perché l’opuscoletto di Nikita Sergeevic, uno stalinista naturale, per di più complice del Maestro del proletariato mondiale fino all’ultimo giorno della sua tirannia, abbia liberato la Russia dalle catene o abbia chiuso davvero la stagione dello spaventoso macello bolscevico, che costò alla Russia decine e decine di milioni di morti. Chruščëv, a differenza di Solženicyn, voleva perpetuare e non abbattere il sistema delle menzogne ideologiche, dei lavori forzati, della tortura, delle fucilazioni. Non di meno fu proprio il suo pamphlet in forma di rapporto politico al XX congresso a dare la prima e decisiva spallata al «socialismo reale». Se fino a un momento prima il comunismo era una religione, dal Rapporto segreto in poi non fu che un’altra maschera della volontà di potenza. Prima d’Una giornata di Ivan Denisovic, prima dei Racconti di Kolima di Šalamov e d’Arcipelago Gulag, furono le rivelazioni (tra vere e fasulle) di Chruščëv a svelare la natura horror del comunismo.
Aragno, editore alto e raffinato, pubblica la traduzione del rapporto chruščëviano d’Angelo Tasca, che fu uno dei primi comunisti dissidenti. Fondatore del partito comunista italiano a Livorno, compagno d’Antonio Gramsci, Umberto Terracini e Palmiro Togliatti nella redazione torinese dell’Ordine nuovo, socialista democratico, maestro d’attività clandestine, Tasca fu contemporaneamente un funzionario del governo collaborazionista di Vichy e un informatore della Resistenza. Trascorse tutta la vita spiando (e augurandosi) la rovina del sistema sovietico. Esultò quando il New York Times, probabilmente su soffiata del KGB, fece uscire il Rapporto segreto in Occidente; le sue note alla traduzione del memoriale chruščëviano sono una perfetta storia del comunismo (avvincente, dolorosa, completa) fino alla morte del grande macellaio. Stupefacenti, invece, le reazioni al Rapporto degl’intellòs azionisti italiani, escluso lo storico Franco Venturi, che a colpo sicuro individuò il «bug» nel Rapporto segreto: «Tanti occidentali [sono convinti] che il problema fondamentale da discutere sia quello dei processi di Mosca e degli uomini politici che vi furono eliminati. Bisogna invece rendersi chiaramente conto che questo non è il problema fondamentale. Quel che conta, nell’epoca staliniana, è l’eliminazione di tutta una classe dirigente, tecnica e intellettuale, di tutta una intelligencija e non soltanto d’alcuni capi politici» Gli altri azionisti, che citiamo, davano invece i numeri (se loro erano i liberali, e anzi gli anticomunisti, chissà allora i comunisti). Leo Valiani: «Sete di potere sconfinato, spietatezza, ebbrezza di vendetta o vanità sono caratteristiche purtroppo umane che Stalin, uomo di Stato davvero geniale, grande e provvidenziale per altri versi, condivideva con molti altri uomini di Stato pure geniali e grandi che l’avevano preceduto e di cui conosciamo gli annali? […] Di siffatte caratteristiche dei potenti Lenin fu interamente immune». Riccardo Bauer: «Converrà forse – da parte di chi sa rendersi conto della definitiva indiscutibile importanza storica della rivoluzione russa e, pur rilevandone certi aspetti negativi, evidenti per quanti conoscano la fecondità delle libertà democratiche, la considera come una reale conquista d’umana civiltà – esaminare con pacatezza quanto è avvenuto nel XX Congresso del PCUS per ricavarne qualche conseguenza di carattere non contingente». Aldo Garosci: «Lenin spietatamente adoperava tutte le armi della politica e della tirannia senza diventare personalmente affatto tiranno». Alé.
Diego Gabutti