Il significato politico dell’eliminazione di Fakhrizadeh
Analisi di Antonio Donno
Mohsen Fakhrizadeh
Tutto coordinato, sia sul piano politico, sia su quello militare. Nel corso degli anni e nell’attuale pressante contingenza politica. L’eliminazione di Mohsen Fakhrizadeh, capo del progetto nucleare iraniano, fa seguito a quella di altri scienziati di spicco dello stesso campo, eliminati negli anni scorsi. Ma tutto si connette in un progetto di uccisione sistematica dei massimi esperti iraniani nella costruzione dell’arma nucleare. Naturalmente, si tratta soprattutto di un avvertimento politico nei confronti del regime di Teheran, un avvertimento che nelle presenti circostanze ha un significato particolare. Teheran spera che, con l’avvento di Biden e dei suoi consiglieri di stampo obamiano al potere, l’accordo con gli Stati Uniti si possa ricucire e che Israele ripieghi su posizioni meno offensive grazie agli accordi con gli Stati Uniti, la cui azione – che ha portato all’eliminazione di Soleimani, capo indiscusso delle milizie terroristiche iraniane che operano in vari settori del Medio Oriente – si connette perfettamente con quella che ha liquidato Fakhrizadeh. Il regime degli ayatollah giura vendetta nel suo stile retorico roboante, ma non può fare nulla in questo frangente politico americano, in quanto una risposta nei confronti di Israele sarebbe ingiustificabile, non avendo Israele rivendicato l’azione del Mossad, e la nuova Amministrazione di Biden non potrebbe tollerare un’azione violenta da parte dell’Iran. Teheran sa che deve ingoiare l’amara pillola per non alterare i rapporti con Biden prima del suo ingresso alla Casa Bianca, né tantomeno dopo, per non vanificare l’iter dei negoziati per il ritorno degli Stati Uniti nell’accordo nucleare firmato da Obama nel 2015. Insomma, per ora l’Iran è impotente di fronte all’uccisione di Fakhrizadeh, se non vuole alterare in modo grave i futuri rapporti con Washington. Ma l’operazione del Mossad ha un significato che coinvolge direttamente i rapporti israelo-americani, una volta insediatosi Biden.
Per questo motivo, Netanyahu ha incontrato recentemente il saudita Mohammed bin Salman per rinforzare le relazioni tra i due paesi nel contesto degli Accordi di Abramo (anche se l’Arabia Saudita non ha aderito ufficialmente a tali accordi), al fine di porre l’Amministrazione democratica di fronte ad una sorta di coalizione Israele-Stati arabi sunniti ferma su posizioni di intransigente contrasto nei confronti delle ambizioni egemoniche iraniane nel Medio Oriente. Netanyahu sa bene che il team di Biden è composto da persone di ispirazione obamiana, quindi non particolarmente amiche di Israele; per questo motivo, si sta affrettando a consolidare le alleanze in vista di giorni non facili per Israele. Si dice da più parti che Joe Biden è sempre stato un grande amico di Israele. Ma la realpolitik non tiene conto dei sentimenti personali di una persona, quando essa si trova a dirigere la politica internazionale di un grande paese come gli Stati Uniti; né quando è in ballo la situazione di una delle aree cruciali del sistema politico internazionale come il Medio Oriente. Per questo motivo, Biden dovrà fare i conti non solo con un problema di enorme rilevanza politico-strategica, ma forse anche con elementi del suo team che potrebbero non condividere alcune sue scelte sulla questione. Si vedrà. Per il momento, le iniziative politiche di Netanyahu di questi ultimi giorni hanno un significato ben preciso. Israele non accetterà una riedizione degli accordi sul nucleare con l’Iran e le eventuali conseguenze politiche che tali accordi potranno avere sull’assetto della regione scaturito dagli Accordi di Abramo. Ma se tutto questo dovesse avvenire, in forma totale o parziale, Israele dovrebbe affrontare l’ennesimo momento di difficoltà della sua storia.
Antonio Donno