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La Repubblica Rassegna Stampa
25.11.2020 Il Rinascimento che parlava ebraico
Analisi di Gavriel Levi

Testata: La Repubblica
Data: 25 novembre 2020
Pagina: 36
Autore: Gavriel Levi
Titolo: «Il Rinascimento che parlava ebraico»

Riprendiamo dalla REPUBBLICA, di oggi 25/11/2020, a pag. 36, con il titolo "Il Rinascimento che parlava ebraico" il commento di Gavriel Levi.

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Gavriel Levi


Rinascimento ebraico, lo specchio delle diversità: torna il Festival  Nessiah – L'Arno.it

Il Rinascimento è un momento di grande fondazione della civiltà europea e della sua cultura. Sono stati cento o duecento anni in cui veniva steso un bilancio consuntivo, un riesame ed un rilancio di prospettiva per l’eredità greca, per l’eredità latina ed anche per l’eredità biblica. Questa grande avventura si è sviluppata, in contemporanea, con grandi mutamenti storici e politici: la scoperta delle Americhe, l’invenzione della stampa, le guerre di religione tra cattolici e protestanti, l’invenzione moderna dei ghetti. Sono coincidenze problematiche, che non possono essere sottovalutate. Il mondo si ingrandiva e i diversi venivano considerati come nemici nuovi (i nativi americani) e antichi (ebrei e marrani). Si raddoppiava il campo di espansione della civiltà europea e i cristiani si uccidevano fra di loro. Il mondo della Qabbalàh veniva accolto seriamente come un nuovo inaspettato messaggio del popolo ebraico, ma il Talmud tornava a essere bruciato. Il primo colonialismo trasferiva nell’intero pianeta la pretesa di superiorità dell’Occidente e si riaccendevano i conflitti storici tra le grandi monarchie e i piccoli potentati dell’Europa. In sintesi: uno straordinario scenario culturale e un nuovo orizzonte politico, di cui era difficile prevedere le conseguenze. Cultura e politica ambedue lacerate, tra uno sguardo al passato e una antropologia già condizionata dal futuro. Filosofia e scienza lavoravano con i loro tempi per definire nuovi spazi di pensiero e di cambiamento. Dalla riflessione teorica a nuovi sviluppi della tecnologia. E gli ebrei? Cosa facevano? Cosa comprendevano? Una nota geopolitica: la migrazione ebraica nel Rinascimento mantiene la tendenza iniziata nel XIII secolo: andare verso est. Con il Rinascimento il processo è più indicativo: mentre l’Europa viaggia verso le Americhe, gli ebrei si dirigono progressivamente verso l’Impero turco, verso l’Olanda, verso la Polonia e verso l’Impero Russo. Curioso: la cultura ebraica nel Rinascimento, in Italia e anche nell’Impero austro-ungarico è centrata su un discorso di grande apertura verso l’Europa. Prima che arrivasse la radicale inversione copernicana l’uomo del Rinascimento era messo al centro dell’universo. Sia il sogno rinascimentale, sia il risveglio copernicano, erano intriganti e sconvolgenti anche per gli ebrei. Il recente libro Il Rinascimento nel pensiero ebraico (Francesco Veltri, Paideia) analizza due tendenze principali nel mondo intellettuale ebraico. Da una parte la volontà di partecipare, a pieno titolo, al dibattito europeo, scrivendo in latino e misurandosi con la letteratura italiana, e meno con la letteratura europea. Dall’altra parte, un’attenzione critica ai testi ebraici classici, con un recupero delle tematiche più originali, valutate con nuove metodologie. Il movimento è duplice: attingere all’esterno per conoscere e per farsi conoscere; valorizzare l’interno per consolidare la propria identità, con un vocabolario concettuale vitalizzato. Il discorso è complesso e variegato. Veltri integra i dati storici essenziali, esamina le cornici e i percorsi intellettuali, facendo emergere con chiarezza le realtà innovative, le loro incertezze e la loro dialettica. Per una prima lettura, è interessante indicare due temi affrontati da Veltri: il confronto tra l’italiano Azariàh de Rossi ed il praghese Maharàl (acrostico per nostro Maestro Il Rav Loew). Azariàh de Rossi scopre, non proprio timidamente, la ricerca storica con un approccio molto particolare. Riapre, per esempio, una finestra su Filone di Alessandria; questo pensatore ebreo ellenista (neo-platonico e stoico) era stato praticamente trascurato dagli ebrei mentre era stato ben valorizzato dal Cristianesimo, fino ad essere quasi considerato un anonimo Padre della Chiesa. Con qualche contraddizione, Azariàh de Rossi porta l’attenzione su Filone che, scrivendo in greco, è l’inventore della lettura allegorica del Pentateuco , mentre legge con intelligenza critica la letteratura midrashico- talmudica, che in Europa verrà riportata in posizione filosofica soltanto con Levinas. Il Maharàl va considerato su tre dimensioni. Scrive il più importante super-commento al commento della Toràh di Rashi , scritto nell’XI secolo; ribalta la cultura rabbinica di base, proponendo un ritorno dialettico alla Mishnàh ( il nucleo testuale del Talmud); fonda lo studio moderno del Midrash talmudico integrando la sua filosofia rinascimentale (che dialoga con Maimonide) con una alfabetizzazione della Qabbalàh. In maniera prevedibile, Azariàh de Rossi verrà riscoperto dall’Illuminismo ebraico e il Maharal diventerà una guida filosofica del Chassidismo e del pensiero neo-talmudico. Un’ultima considerazione mette in controluce questi due maestri. Come ben sottolinea Veltri, Azariàh de Rossi legge storicamente i testi ebraici classici, ma non sembra guardare agli avvenimenti storici del suo tempo. Al contrario, il Maharal sembra leggere nel testo biblico di Ester, gli avvenimenti contemporanei dell’Impero austroungarico (Orit Ramon 2017). Di più: considerando le guerre di religione europee e le vicende dell’eresia hussita, il Maharal intuisce la necessità di definire la nuova realtà di nazione per il popolo ebraico. Vedendo la nazione ebraica ben insediata nell’Occidente europeo il Maharal conosce con esattezza i fermenti ebraici presenti nell’impero turco, dove in Israele nasce la nuovissima Qabbalàh e viene lanciata la proposta di convocare un nuovo Sinedrio. In questo senso per alcuni il Maharal diventa un precursore filosofico del lungo Rinascimento ebraico che porterà al sionismo spirituale. Come già detto il Maharal ha dato un contributo innovativo fondamentale allo studio delle Haggadot ( racconti, leggende, mitemi) del Midrash e del Talmud. In pratica, dalle tessere disordinate di un mosaico sparpagliato il Maharal ha costruito una filosofia del pensiero rabbinico. Questa operazione del Maharal è senza precedenti, per vastità, per profondità, per rigore e per originalità. A questa sua creazione filosofica il Maharal è rimasto avvinghiato con la leggenda che ha lui come uno degli attori: la storia del Golem. Un breve riassunto per impedire una persecuzione sanguinosa contro la sua comunità, il Maharal fabbrica col fango un homunculus messianico (golem= embrione) imprimendogli sulla fronte il nome Emet (verità). Questo Golem protegge e libera gli ebrei dal pericolo incombente, ma poi perde il controllo della propria forza e diventa a sua volta una nuova minaccia. Perciò il Maharal deve affrontarlo e gli cancella dalla fronte la prima lettera del suo nome (l’Alef dell’Uno Assoluto). Senza l’Alef, la verità ( emet) diventa met (morto). La storia apocrifa del Golem sembrerebbe rispecchiare un’idea ebraizzata, simile alla fantasia universale di poter creare (con la mistica o con la tecnologia) un essere umano onnipotente. Da un altro punto di vista, letta come un racconto talmudico, la storia del Golem diventa la storia dell’uomo che senza la verità è morto o diventa la sua stessa morte. Una leggenda rinascimentale? Una leggenda messianica? Può essere! Rimane che dal pensiero del Maharal e dalla sua leggenda emerge un racconto quasi talmudico ben inventato.

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