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La Repubblica Rassegna Stampa
22.11.2020 Spia: una professione difficile
Il caso Pollard raccontato da Alberto Flores d’Arcais

Testata: La Repubblica
Data: 22 novembre 2020
Pagina: 16
Autore: Alberto Flores d’Arcais
Titolo: «Israele attende Pollard la spia che minò i rapporti con l’America»
Riprendiamo dalla REPUBBLICA di oggi, 22/11/2020, a pag.16, con il titolo "Israele attende Pollard la spia che minò i rapporti con l’America", il commento di Alberto Flores d’Arcais.

Alberto Flores D'Arcais – Scuola Superiore di Giornalismo
Alberto Flores D'Arcais

Gli Usa rilasciano l'ex spia di Israele Pollard
Jonathan Pollard

Era il 21 novembre 1985 quando gli agenti del Fbi misero in manette un uomo che a Washington si era appena allontanato dall’ambasciata di Israele, dove aveva chiesto asilo politico respinto dalle guardie all’ingresso. Si chiamava Jonathan Pollard, aveva 31 anni, lavorava per l’intelligence della Marina Usa e da un anno era al soldo del Mossad. Esattamente 35 anni dopo (30 passati in carcere e cinque in semi- libertà) l’uomo che per anni ha messo in crisi le relazioni tra gli Stati Uniti e il suo più fedele alleato è diventato un uomo libero e presto andrà a vivere in Israele. La foto di quell’uomo dai capelli neri, stempiato e con i baffi, divenne per anni il simbolo del più anomalo tradimento nel mondo sotterraneo dello spionaggio, in cui ricatti e vendette sono all’ordine del giorno. Unico cittadino degli Stati Uniti condannato all’ergastolo per aver passato documenti “top secret” a un Paese amico, Pollard si è sempre difeso sostenendo di avere spiato solo perché «l’establishment dei servizi segreti americani ha messo in pericolo la sicurezza di Israele nascondendo informazioni cruciali», fra cui quelle sullo sviluppo di armi chimiche in Iraq e in Siria, informazioni sugli eserciti arabi e le immagini satellitari del quartier generale dell’Olp a Tunisi che servirono all’aviazione di Gerusalemme per il bombardamento del 1985. Una carriera nell’intelligence Usa con qualche errore che oggi non gli verrebbe perdonato, ma che nell’America a cavallo tra i Settanta e gli Ottanta — quando le diverse agenzie di spionaggio si facevano spesso la guerra — gli permise di andare avanti. Fare la spia era del resto il sogno di sempre di Jonathan, nato in Texas in una famiglia ebraica, cresciuto in Indiana (il padre, un noto biologo, insegnava alla University of Notre Dame) e fin da piccolo così interessato all’Olocausto da convincere i genitori a portare la famiglia in visita ai campi nazisti in Europa. Un sogno che rendeva a suo modo reale nei racconti (inventati) che faceva ai suoi compagni di college a Stanford: la doppia cittadinanza americana e israeliana, il lavoro per il Mossad, il grado di colonnello dell’esercito israeliano (si inviava falsi telegrammi a nome “Colonel Pollard”), il padre che lavorava per la Cia. Una volta finita l’università provò davvero a entrare alla Cia, ma dovette rinunciare dopo aver confessato alla “macchina della verità” di aver usato droghe per oltre quattro anni. Riprovò con l’intelligence della Marina e questa volta gli andò meglio, nonostante le bugie sul lavoro di agente del padre e le droghe (la Cia si rifiutò di dare notizie su Jonathan). Era il 1984 quando, lavorando come intelligence specialist per il Comando Navale che venne a contatto con Aviem Sella, veterano dell’Air Force di Israele e agente sotto copertura del Mossad. A cui, nel suo fervore pro-Israele, offrì i suoi servigi per 10mila dollari cash e due anelli (diamante e zaffiro) che regalò alla fidanzata Anne Henderson chiedendole di sposarla. Lei accettò e diventò sua partner nello spionaggio. Fu lei ad avvisare Sella sull’arresto del marito — era andata con il marito all’ambasciata ma era sfuggita agli agenti Fbi — e fu anche lei condannata, restando tre anni e mezzo in carcere. Quando uscì si vide recapitare i documenti in cui Jonathan le chiedeva il divorzio. Da tempo vive in Israele e nonostante Pollard si sia risposato (in carcere) con l’attuale moglie Esther (da sempre impegnata nella campagna per la sua liberazione), Anne il 21 novembre è voluta tornare a Washington. «Non ho ancora capito perché ha voluto divorziare», ha dichiarato a Times of Israel . Trentacinque anni fa per la Casa Bianca (allora il presidente era Ronald Reagan), per la Cia, l’Fbi e ovviamente la Marina, quello di Pollard fu considerato uno dei più gravi tradimenti nella lunga storia dello spionaggio Usa e per quasi 30 anni gli Stati Uniti si rifiutarono di liberarlo come chiedevano con insistenza i leader israeliani. George Tenet — che ha guidato la Central Intelligence Agency per otto anni con Clinton e Bush — ha minacciato più volte le dimissioni e un ripetuto “no” ci fu anche da parte di due falchi dell’amministrazione di George W. Bush molto amici di Israele come il vice-presidente Dick Cheney e il capo del Pentagono Donald Rumsfeld. Nel 1995 aveva avuto la tanto sospirata nazionalità israeliana, nel novembre 2015 aveva ottenuto la libertà vigilata dopo 30 anni trascorsi nel carcere federale di Butner, in North Carolina. Per anni il premier di Gerusalemme Benjamin Netanyahu ha premuto sulle diverse amministrazioni Usa perché venisse liberato. Prima di abbandonare la Casa Bianca, Donald Trump ha voluto compiere un ultimo gesto in favore del suo più prezioso alleato in Medio Oriente.

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