L'antisemitismo dilaga in Germania Commento di Roberto Giardina
Testata: Italia Oggi Data: 14 novembre 2020 Pagina: 14 Autore: Roberto Giardina Titolo: «Antisemitismo, torna in Germania»
Riprendiamo da ITALIA OGGI di oggi 14/11/2020, a pag.14 con il titolo "Antisemitismo, torna in Germania" il commento di Roberto Giardina.
Roberto Giardina
Ogni anno viene scelta Das Unwort, la non parola, da non tradurre con parolaccia, come si sarebbe tentati, spesso un neologismo: nel 2019, è stata Klimahysterie, nel 2017 Alternative Fakten, nel 2014 Lügenpresse, cioè stampa bugiarda, i lettori non apprezzano l'autocensura dei mass media soprattutto per quanto riguarda i problemi dell'emigrazione. Basta essere critici, o preoccupati, e si viene accusati di razzismo. Il film andato in onda in prima serata sullo Zdf, il secondo canale tv pubblico tedesco , il 9 novembre aveva il titolo «Das Unwort», cioè antisemitismo. Una non parola particolare perché è un tabù, e non si osa pronunciarla, 75 anni dopo la fine del Reich nazista. I tedeschi non vogliono scoprire che l'antisemitismo è ancora presente in Germania. Il 9 novembre dell"89 cadde il muro di Berlino, ma il 9 novembre del `38 è passato alla storia come «la notte dei cristalli», vennero date alle fiamme le sinagoghe, devastati i negozi degli ebrei. Una tragicommedia, viene definita nel programma, un'ora e mezza per raccontare la realtà nelle scuole di Berlino, la metropoli multikulti. Quasi un terzo dei berlinesi ha radici straniere, sono immigrati, o figli di profughi nati in Germania. L'illusione di creare una società multikulti titolo del film dato nella tv pubblica tedesca è «Das Unwort», la parola indicibile, cioè antisemitismo che in effetti è impronunciabile in Germania. Racconta abbastanza bene quanto avviene nelle scuole di Berlino. E una specie di antologia di fatti veri: sono diversi infatti i ragazzi ebrei che hanno abbandonato le scuole pubbliche, alcuni genitori li hanno spediti da parenti in Israele. E agli ebrei si consiglia di non farsi riconoscere come tali per strada in alcuni quartieri si è trasformata in un incubo, e la situazione è sfuggita di controllo dopo l'arrivo di molti profughi in breve tempo a partire dal 2015, quando Angela Merkel non chiuse le frontiere. In alcuni quartieri, in classe si ritrovano studenti di una dozzina di nazionalità diverse, i tedeschi sono spesso appena un paio. Il regista Leo Hashin, autore anche della sceneggiatura, ha ambientato il film in un liceo del Westend, un quartiere borghese, i ragazzi appartengono a famiglie di un ceto medio alto.
Non è una zona calda della metropoli. Un giorno la professoressa legge in classe alcuni brani del «Diario di Anna Frank». Il quindicenne Max fa outing e rivela: io sono ebreo. Da quel giorno perde gli amici, viene mobbizzato, attaccato ogni giorno, finché si ribella: morde un orecchio a Karim e rompe il naso a Reza. La vittima si trasforma in colpevole, la prima reazione del preside è di espellere Max. I genitori si ribellano: perché il loro figlio deve lasciare il miglior liceo di Berlino, e non Karim o Reza? La professoressa non sa che fare, il preside teme per la sua carriera: la parola antisemitismo non deve neanche essere pronunciata nella sua scuola, si tratta di normali zuffe di ragazzi. Il padre di Karim è palestinese, la madre di Reza iraniana, e la madre di Max se protesta viene accusata di antislamismo, di razzismo. Il preside vuole rinchiudere i ragazzi ebrei durante la paura nell'aula di chimica per evitare nuovi incidenti. Come in un ghetto? Felix, un altro ragazzo ebreo, si ritira e viene iscritto in una scuola ebraica. I professori cercano di giustificare i ragazzi musulmani: è la loro tipica cultura maschilista, pensate al Medio Oriente, si sentono vittime. A Max urlano: «Voi ebrei mangiate bambini», «Hitler aveva ragione», le solite frasi. Nonostante le intenzioni del regista, «Das Unwort» non riesce a trovare i toni da commedia, non bastano i litigi tra genitori durante le riunioni scolastiche. Ma racconta abbastanza bene quanto avviene nelle scuole di Berlino. E' una specie di antologia di fatti veri: sono diversi i ragazzi ebrei che hanno abbandonato le scuole pubbliche, alcuni genitori li hanno spediti da parenti in Israele. Le autorità scolastiche, per non parlare di antisemitismo, preferiscono registrare gli incidenti come risultato di «mobbing religioso». E agli ebrei si consiglia di non farsi riconoscere come tali per strada in alcuni quartieri. Il giorno dopo la trasmissione del filmato, un bambino arabo di undici anni ha minacciato la professoressa di tagliarle la testa, «come fanno in Francia». Le autorità scolastiche della capitale non hanno protestato contro il film. Da anni, si giustificano, a scuola invitiamo ospiti a spiegare la Shoah, e si invitano i ragazzi a riflettere, e a superare le divisioni dei genitori. A quanto pare, senza grandi risultati. Il film è visibile fino al novembre del `21 nella mediathek dello Zdf, e potrebbe essere visto a scuola nei computer di classe.
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