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Stati Uniti: la previsione non è aver ragione
Commento di Michelle Mazel
(Traduzione di Yehudit Weisz)
A destra: Donald Trump, Joe Biden
La grande festa elettorale americana sembra volgere al termine. Per settimane i media hanno gareggiato in calcoli complicati per dimostrare il funzionamento delle previsioni sulla vittoria dei Democratici e del loro candidato Joe Biden. Tabelle e grafici illustravano i risultati in Stati di cui molti lettori non avevano mai sentito parlare e che non sarebbero stati in grado di localizzare su una carta geografica. Insomma, tutto era pronto per l'ondata blu. I commentatori informati hanno spiegato che il successo sarebbe stato tale che i risultati sarebbero stati noti entro poche ore. Conosciamo il seguito . L'onda blu si è trasformata in un sottile flusso d'acqua. Se 75 milioni di americani hanno scelto Joe Biden, 71 milioni hanno votato Donald Trump, e tra questi ultimi una percentuale non trascurabile di ispanici e afroamericani. Al Senato e alla Camera dei Deputati il gioco non è finito. E i repubblicani gridano al broglio elettorale, citando casi precisi, chiedendo indagini e riconteggi dei voti nei seggi oggetto di controversia. Una richiesta che suscita una virtuosa indignazione. C’è da chiedersi perché. La frode elettorale è purtroppo un fenomeno abbastanza comune e l'America non fa eccezione, anzi. Solo, come sottolinea in un suo Twitt l'eminente politologo Ivan Rioufol, “ipotizzare una possibile frode tra i pro-Biden è visto come un attacco alla democrazia, una cattiva condotta professionale, un’eresia morale, un delirio complottista ecc. Solo il campo del Bene è privo di sospetti” . Questo significa che i sostenitori di Trump hanno ragione? La vittoria è stata loro rubata in modo fraudolento? Ovviamente no. Ma la loro richiesta non è solo legittima, ma anche saldamente ancorata alla tradizione americana. Non è la prima volta che una parte o l'altra esige accertamenti, verifiche e riconteggio delle schede elettorali.
Nel 2000 il repubblicano George Bush strappò la presidenza al democratico Al Gore dopo una lunga battaglia legale che giunse alla Corte Suprema, che si pronunciò a suo favore con cinque voti contro quattro. Il candidato perdente non accettò la sua sconfitta se non più di un mese dopo le elezioni. Nessuno allora ha trovato qualcosa da ridire. Oggi Donald Trump viene criticato per aver fatto ricorso alla giustizia, anche se la Costituzione glielo consente. Inoltre, non è un caso che l'entrata in carica della nuova amministrazione, del Senato e della Camera dei Deputati a seguito delle elezioni avvenga solo il 20 gennaio, ovvero due mesi e mezzo dopo. Occorre avere il tempo necessario per convincere i sostenitori del candidato perdente a rispettare il verdetto delle urne. Curiosamente, le élite d’Oltre Atlantico e quelle dell'Europa occidentale - con l'eccezione dell'Inghilterra - che sono felici per la caduta di un Presidente che non avevano mai accettato, non sembrano consapevoli delle reazioni dei nemici degli Stati Uniti alla vittoria di Joe Biden o meglio, alla sconfitta di Donald Trump. I cinesi si rallegrano in modo più o meno discreto mentre, in un Medio Oriente frammentato, Egitto e Arabia Saudita assistono con apprensione al ritorno della dottrina Obama; gli ayatollah che si rallegrano esortano trionfalmente i loro vicini del Golfo ad abbandonare l'alleanza americana ed a sottomettersi alla loro egemonia.
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