Sofri, la medicina sociale e una tormentata vicenda giudiziaria
Commento di Diego Gabutti
Adriano Sofri
«Adriano Sofri è nato nel 1942 a Trieste e ha attraversato una tormentata vicenda giudiziaria» si leggeva sul Foglio di ieri mattina, lunedì 9 novembre, in una breve nota biografica in calce a un articolo sulle meraviglie della medicina sociale scritto dall’ex mammasantissima di Lotta continua, il gruppuscolo cattocomunista che, come ricorderanno i più anziani, vivacizzò gli anni settanta con la sua «lotta dura senza paura» e le sue simpatiche campagne di stampa. Categorico circa l’anno e il luogo di nascita d’Adriano Sofri, il Foglio è leggermente più impreciso riguardo alla vicenda giudiziaria che lo riguarda. Perché fu processato e condannato? Nella nota del Foglio non se ne parla. Una multa non pagata? Taccheggiamento al supermercato (causa fame, come negli articoli di Lotta continua quotidiano, il giornale maò maò che, tra una «compagna di fango» e l’altra, inneggiava all’esproprio proletario)? Calpestò un’aiuola? Ubriachezza molesta? Pipì fuori dal vaso? Parole grosse? Schiamazzo notturno? Oppure sputò dov’è vietato? Rissa al saloon? Reati societari? Gioco d’azzardo in luogo improprio? Montava una bicicletta senza fanalino di coda? Atti osceni in luogo pubblico? Evasione fiscale? Abusi di mercato? O forse incappò in qualche guaio del genere #MeToo (indebito allungamento di mani)? Frode informatica? Danneggiamento semplice? Falsità in foglio firmato in bianco (un reato recentemente derubricato a «bagatellare»)? Rappresentazione teatrale o cinematografica abusiva? Guida senza patente?
Luigi Calabresi
Niente di tutto questo: Adriano Sofri è stato condannato, dopo ben sette gradi di giudizio (più di quanti normalmente ne tocchino a qualunque imputato) a ventidue anni di galera in quanto mandante dell’omicidio del commissario Luigi Calabresi, «giustiziato» nel maggio del 1972 da due killer di Lotta continua (uno dei quali confesso). Sofri non fu beccato mentre parcheggiava in sosta vietata. No, fu beccato per omicidio – l’omicidio d’un commissario di polizia. Attentato originario, ouverture degli anni di piombo, che lui su Lotta continua commentò così: «L’omicidio politico non è l’arma decisiva per l’emancipazione delle masse, anche se questo non può indurci a deplorare l’uccisione di Luigi Calabresi, atto in cui gli sfruttati riconoscono la propria volontà di giustizia». È questa la «tormentata vicenda giudiziaria» che il Foglio evita di nominare: una condanna per concorso in «atto di giustizia». Tra gentiluomini, come non si parla di denaro, non si parla neppure di morti ammazzati, specie se colpiti alla schiena, con raro coraggio, mentre escono di casa in una bella (e ultima) giornata di sole.
Diego Gabutti