Riprendiamo dalla REPUBBLICA - Affari & Finanza, con il titolo 'Il sole è la nostra energia. Zero carbone già nel 2026' l'intervista di Sharon Nizza al ministro dell'Energia israeliano Yuval Steinitz.
Sharon Nizza
Yuval Steinitz, ministro dell'Energia israeliano
Nel suo ufficio, il ministro dell'Energia Yuval Steinitz mostra una grande mappa del progetto EastMed siglata con gli omologhi di Cipro, Grecia e Italia. Era il 2017 quando venne firmata la prima intesa sull'ambizioso progetto di un gasdotto sottomarino che, sviluppandosi su 2.200 chilometri, mira a collegare i giacimenti di gas israeliani e ciprioti con l'Italia, passando per la Grecia. Steinitz, dottore in filosofia, un passato di militanza tra le file del movimento pacifista israeliano, oggi membro di spicco del Likud, il principale partito di governo, negli ultimi dieci anni ha ricoperto il ruolo di ministro del Tesoro, dell'Intelligence e, dal 2015, dell'Energia. Ha gestito la transizione israeliana da paese a secco di risorse energetiche naturali a Paese esportatore, dopo la scoperta 10 anni fa di ingenti giacimenti di gas offshore. Un'epopea che descrive anche in un libro appena pubblicato, "La lotta per il gas". EastMed è il suo cavallo di battaglia e Steinitz racconta come tutto nacque nel 2016 ad Abu Dhabi, quando ancora le visite di israeliani nel Paese del Golfo erano clandestine. Nella capitale emiratina, durante un incontro con l'allora Commissario europeo per l'Energia, Steinitz condivise l'idea di EastMed e dopo poco si riunirono a Gerusalemme con gli omologhi greci, ciprioti e per l'Italia l'allora ministro Carlo Calenda, per firmare la prima di una serie di intese.
L'Italia però non ha firmato l'accordo finale a gennaio. II ministro degli Esteri Luigi Di Maio, in visita la settimana scorsa in Israele, ne ha parlato come di un progetto "a medio termine". «Siamo in contatto continuo con l'Italia. Uno dei nodi è relativo allo sbocco della condotta in Puglia, ma c'è una serie di idee alternative, compresa la possibilità di allacciarsi a un gasdotto già esistente. Per questo, nell'intesa attuale, non è ancora definito il punto di arrivo. Aspettiamo la firma italiana, siamo fiduciosi». SI paria di costi ingenti che potrebbero dar luogo a prezzi non competitivi del gas. «Crediamo sia possibile reggere la concorrenza con il gas russo. Ma è anche una questione strategica: l'Europa ha bisogno di gas naturale per altri 25 anni almeno. Nella fase di transizione verso le rinnovabili è atteso un incremento dell'1% annue, di consumo del gas naturale. L'Europa ha già dichiarato di voler diversificare le proprie fonti e EastMed è una garanzia: Israele e Cipro sono due alleati affidabili, membri dell’Ocse. Il gasdotto viaggerà a una profondità di 3 chilometri, impossibile da danneggiare».
Come hanno impattato gli Accordi di Abramo le dinamiche regionali e che ripercussioni possono avere anche sul mercato europeo? «Prima ancora degli Accordi di Abramo, Israele ha iniziato a esportare gas a Egitto e Giordania. Abbiamo creato l'East Med Gas Forum, con Egitto, Italia, Cipro, Giordania, Grecia e Autorità Palestinese. È la prima volta in cui Israele siede - ed è tra i fondatori - in un forum economicoenergetico con Paesi arabi ed europei. Anche la Francia ha chiesto di farne parte. È un ombrello che ambiamo a estendere a tutto il Mediterraneo. Con gli Emirati c'è grande sinergia e volontà di fare investimenti congiunti. Uno dei settori su cui c'è più interesse sono le start up specializzate nell'efficienza energetica. È già partita poi l'intesa per l'estensione del nostro oleodotto che da Eilat ad Ashkelon unisce il Mar Rosso al Mediterraneo, fornendo alle aziende petrolifere emiratine una scorciatoia verso l'Europa».
Come si Inquadra in questo contesto II recente ingresso di Chevron nel mercato israeliano? «Fino a poco tempo fa le grandi compagnie del settore temevano di fare affari con Israele per via del boicottaggio arabo. L'entrata di Chevron credo sarà un incentivo per altre società importanti, in Europa e in Italia».
Dove si trova Israele rispetto agli obiettivi della transizione energetica? «Nel 2012, i162% della nostra elettricità derivava da combustibili fossili. Oggi siamo dipendenti solo al 24% dal carbone e l'obiettivo è decarbonizzazione totale nel 2026. Sulla penetrazione del fotovoltaico negli ultimi cinque anni siamo passati dal 2% al 9%, secondi al mondo dopo l'Honduras. E abbiamo appena deciso di raddoppiare l'obiettivo: energia solare dal 17% al 30% entro 112030. A oggi, abbiamo diminuito le emissioni inquinanti dalle centrali elettriche del 60%, con l'obiettivo di arrivare al 90-95% entro il 2025. Con il gas naturale le emissioni sono più hai, siamo in pari con gli obiettivi di Parigi. Guardiamo molto a progetti relativi alla cattura del carbonio».
Israele è diventata la "Start up Nation" proprio per la scarsità dl risorse, investendo sul capitale umano. Come è l'offerta israeliana nell'innovazione del settore energetico? «Ci sono centinaia di società specializzate non solo nell'energia solare, come il gigante SolarEdge, ma anche in efficienza energetica, immagazzinamento, mobilità elettrica. Stiamo investendo molto nello stoccaggio dell'energia. Entro il 2030 saremo tra i Paesi leader al mondo nel settore, perché ci permette di sfruttare al massimo il fotovoltaico, l'unica risorsa rinnovabile di cui disponiamo in abbondanza. Nella cyber security siamo un'eccellenza. La start up ElectReon sta progettando la prima strada elettrica che caricherà le batterie durante il viaggio».
La settimana scorsa Snam è entrata nel mercato israeliano con una serie dl intese sulla mobilità sostenibile. Dove si colloca Israele rispetto a questa sfida? «Snam ha firmato con alcune aziende israeliane per portare avanti tra l'altro anche un pilot sulla progressiva conversione del trasporto pubblico a carburanti alternativi. Come ministero dell'Energia stiamo per installare 2.700 stazioni di ricarica rapida per incentivare l'acquisto di veicoli elettrici. Abbiamo stabilito che a partire dal 2030 sarà possibile importare solo auto elettriche, a idrogeno o Gill. È un obiettivo molto ambizioso, ma anche se dovessimo arrivare al 50% di auto non inquinanti, la conversione del trasporto pubblico e quello pesante a energie verdi sarà parte fondamentale della transizione».
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