Sulla Stampa continua la disinformazione in stile Manifesto Con un pezzo di Donatella Di Cesare
Testata: La Stampa Data: 02 novembre 2020 Pagina: 1 Autore: Donatella Di Cesare Titolo: «Gli errori di Erdogan e Macron»
Riprendiamo dalla STAMPA del 02/11/2020, a pag.1, con il titolo "Gli errori di Erdogan e Macron", il commento di Donatella Di Cesare.
Donatella Di Cesare, ex vicepresidente della fondazione nata per onorare la memoria del filosofo nazista Heidegger, continua a sdoganare il fanatismo islamico e il terrorismo in Europa. La Stampa la pubblica in prima pagina, non smentendo la nuova linea del direttore Giannini. Di Cesare mette sullo stesso piano democrazie - qui rappresentate da Macron - e dittature islamiste come quella di Erdogan in Turchia in un pezzo di totale disinformazione. Il modello del quotidiano torinese sembra essere sempre più il Manifesto, l'informazione che offre ai lettori di conseguenza sempre più parziale e distorta.
Ecco l'articolo:
Recep T. Erdogan, Emmanuel Macron
Davvero la libertà consiste nel diritto alla blasfemia, nella pretesa di insultare, bestemmiare, profanare quel che è "sacro" per gli altri? Una società liberale sarebbe allora quella dove, ad esempio, oltre a essere oltraggiato il Tetragramma, il nome ebraico di Dio, potrebbero venir infangati i simboli cristiani, offesa ogni altra forma di religione. Eppure, proprio in quest'epoca buia della pandemia, emerge quanto sia vuota l'idea di libertà di un soggetto che si ritiene sovrano, questo ego chiuso in sé, svincolato da ogni responsabilità per gli altri. La libertà dell'insulto ricorda quella di chi gira senza mascherina. All'indomani di ogni attentato viene riproposta, con accenti reboanti, l'alternativa tra "laicità e fanatismo". O con Macron o con Erdogan! Ed è il caso allora di rispondere chiaro e forte: né — né. Chi potrebbe non condannare la violenza terribile degli attentati? Ma dopo la reazione immediata occorre la riflessione. Subito dopo l'assassinio di Samuel Paty, Macron è ricorso a toni esasperati, non consoni a un Presidente della Repubblica. Così ha utilizzato le vignette blasfeme di un settimanale, assurto suo malgrado ad apostolo di una discutibile libertà di espressione, per lanciare messaggi semibellici, rispolverando il mito dell'Occidente libero contro l'Islam oscurantista. Avrà forse accresciuto un po' il consenso interno, lasciando che Erdogan si ergesse a capo di una fantomatica "umma" musulmana a venire. Il laicismo militante di stampo francese, ripreso da Macron con sfumature etnonazionalistiche, non è per nulla la bandiera della libertà, né un modello da imitare. Si tratta di una sorta di religione civile, di una non meglio precisata morale universale che, dall'alto della ragione illuministica, pretende di giudicare le religioni—tanto più se sono quelle degli altri. L'idea di base è che le religioni siano superstizioni superflue, dogmi dannosi, violenza allo stato potenziale. Tutto si riduce sbrigativamente alla guerra del sacro contro il laicismo. Nel mondo globalizzato le religioni svolgono ormai, che lo si voglia o no, un ruolo importante. Le componenti più laiche appaiono del tutto impreparate a comprendere questo fenomeno. E, da tempo, la "laicità" non è più il luogo neutro di confronto. Il traumatico ingresso dell'Islam nella cittadinanza europea porta alla luce difficoltà che riguardano anche le altre religioni. Nelle scuole e nelle università bisognerebbe studiare le religioni che fanno parte del patrimonio culturale del mondo europeo. Ciò avviene già in alcuni paesi europei. Al contrario, educare alla derisione e al disprezzo della fede altrui, anche con le vignette, non è saggio. Dove si moltiplicano pregiudizi e cliché hanno la meglio posizioni fondamentaliste tra i giovani. Serve invece lo studio e l'interpretazione. Non si deve dimenticare che i fondamentalismi si separano dalla cultura di provenienza. E, infine, chissà perché, dopo ogni attentato, viene dato nel nostro paese ampio spazio a filosofi e commentatori francesi che, Bernard-Henry Levy in testa (ma non è quello che ha sostenuto l'intervento contro la Libia nel 2011?), ci ripropongono l'alternativa asfittica tra il laicismo militante e il cosiddetto "islamofascismo". Chi usa questo termine commette tanti errori in uno, sia perché usa a sproposito la parola "fascismo", sia perché criminalizza un'intera religione cui non può essere attribuito il volto dei radicalizzati. L'Italia è il paese di Francesco d'Assisi che seppe dialogare con il sultano. E tale resta, malgrado i sovranisti. Forse anche per ciò quei toni e quegli appelli ci appaiono estremi, arroganti e un po' caricaturali.
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