'Guerra e guerra', di László Krasznahorkai Recensione di Wlodek Goldkorn
Testata: La Repubblica Data: 31 ottobre 2020 Pagina: 13 Autore: Wlodek Goldkorn Titolo: «La scatola segreta»
Riprendiamo dalla REPUBBLICA - Robinson di oggi, 31/10/2020, a pag.13 con il titolo "La scatola segreta" la recensione di Wlodek Goldkorn.
Wlodek Goldkorn
La copertina (Bompiani ed.)
László Krasznahorkai, ungherese, sessantaseienne, è uno di quegli autori che spesso vengono citati dai critici e bookmaker alla vigilia del Nobel per la Letteratura (intanto ha vinto, cinque anni, fa il Man Booker Prize). La sua prosa, ossessiva e allucinata, in apparenza non facile, in realtà trascinante, ha come ambizione misurarsi con la fine del mondo, non una fine definitiva, ma una catastrofe protratta nel tempo e dentro la quale viviamo tutti noi: da sopravvissuti. I protagonisti dei suoi romanzi hanno le sembianze di imbonitori, perdenti, cialtorni e che tuttavia si spacciano per specie di piccoli Messia, in un universo privo di grandi speranze, se non quella più importante, per cui alla fine e in modi bizzarri, la vita prevale sulla morte, sempre. È quello che succede in Satantango (un capolavoro), in Melancolia della resistenza e ne Il ritorno del barone Wenckheim, pubblicati da Bompiani. L'universo, affascinante perché per molti aspetti diabolico nella sua miseria ma al contempo in attesa di un improbabile salvatore; che non ha niente di sacro, Krasznahorkai, lo reinventa anche in Guerra e Guerra, in uscita con lo stesso editore e in una bella traduzione di Dora Varnai. Il protagonista della narrazione si chiama Korin, è nato a Gyula (l'autore non fa il nome del luogo, ma dà indizi per individuarlo), un cittadina al confine con la Romania, da cui viene lo stesso scrittore. Lo troviamo, alla prima pagina, completamente ubriaco, in uno squallido bar, a meditare su come creare un mondo in cui il bello e il buono sarebbero non scomparsi, ma irrimediabilmente "contaminati e corrotti". Sì, Korin ha qualcosa di satanico. Ma è davvero pericoloso? Forse no, visto che in fondo, è un perdente, un disadattato. Spieghiamoci, seguendo la storia. Korin dunque è un archivista. E negli archivi della sua città trova una scatola, intonsa, che giace fi da decenni e che risale agli anni 1941-42. Siamo in piena Shoah quindi, anche se né questa parola né la descrizione dell'Olocausto appaiono davvero nel libro. Ma la storia lo contamina con il Male radicale che regnava all'epoca. Infatti dentro la scatola c'è un racconto. Si tratta, per sommi capi, della vicenda di quattro naufraghi, quattro sopravvissuti, che viaggiano nel tempo e nello spazio, dall'arcaica Creta con il labirinto di Minosse a Cologna, con la sua cattedrale gotica incompiuta; dalla Babilonia dove Dio rinuncia ai suoi poteri, a favore dell'Uomo perché compia il Male, alla Venezia dei doge, tutti colpiti da una maledizione. Davvero una maledizione? No. Perché in questo viaggio al tramonto delle civiltà la casualità prevale su ogni piano preordinato: come accade nella vita di ognuno di noi e nella Storia, che, suggerisce l'autore, è una catena di imprevedibili catastrofi. Si è detto che Korin è una persona disadattata. Infatti, il protagonista del libro, vuole rendere il testo trovato "eterno". Per farlo pensa di recarsi a New York, perché questa è la città "centro del mondo". Ed è a New York, siamo nella seconda metà degli anni Novanta, che con l'ausilio di Internet la narrazione trovata nella scatola può essere davvero resa immortale. Salvo che, per compiere quella missione, il nostro protagonista vende tutti i suoi averi in Ungheria, i soldi ricavati li cuce nella fodera del capotto, come un profugo qualunque o un ebreo deportato o in fuga, non è capace di comprarsi da solo il biglietto aereo né sa che occorre chiedere il visto. La scena dell'attesa del permesso d'ingresso negli States, richiama il racconto di Kafka Davanti alla legge, (come molte altre pagine del romanzo) con una differenza: Korin non sta rassegnato davanti alla porta e così riesce a varcarla. Nella metropoli americana Korin fa amicizia con un altro perdente, ungherese come lui. Non ne racconteremo le avventure, fra gangster, droga e via elencando. Anche perché, m fondo, il libro va letto per la sua carica filosofica («è la bellezza che provoca la fede e non i sistemi filosofici», dice fra le altre cose) e per le vertiginose frasi, spesso ripetitive, talvolta lunghe dieci pagine. Possiamo invece svelare due cose. La prima, durante la scrittura, Krasznahorkai a New York frequentava assiduamente Allen Ginsberg, e l'influenza del poeta si sente. La seconda: alla fine il diabolico Korin, viene sopraffatto dall'arte, m particolare dall'Arte Povera, specie da Mario Merz. E poi, la conclusione vera del romanzo è quella: talvolta la letteratura che sposa l'arte diventa realtà. Andate a fare una visita a Sciaffusa (appena passata l'emergenza Covid) in Svizzera, dove una targa commemorativa su un edificio, ricorda Korin. Ultima avvertenza; Guerra e guerra, non è un libro da leggere per rilassarsi dopo una giornata di stress: non è insomma un'alternativa a Netflix.
Per inviare a Repubblica la propria opinione, telefonare: 06/49821, oppure cliccare sulla e-mail sottostante