Riprendiamo dalla REPUBBLICA di oggi, 31/10/2020, a pag.1-26 con il titolo "Fermiamo lo scontro di civiltà" il commento di Bernard-Henri Lévy.
Bernard-Henri Lévy
La copertina di Charlie Hebdo dedicata a Erdogan
Orrore, dunque. La città di Matisse e Romain Gary. Della Baia degli Angeli e del grande Garibaldi. Questa bella città di Nizza, che ha stretto un patto secolare con la libertà e con ciò che la Francia ha inventato di più elevato. Questa città già martire, nuovamente martirizzata. E che martirio! Una signora e la sua discreta avventura mattutina con Dio... Vincent, il sacrestano che silenziosamente rimetteva le candele e preparava il rito della messa... Simone, colta nel mezzo del suo cammino, quando tanto le restava da fare... Come padre Hamel di Saint Etienne de Rouvray, come Samuel Paty, come tanti altri, ebrei, cristiani o musulmani che sono stati per anni gli agnelli sacrificali di un Islam impazzito e traviato, le ultime parole che avranno sentito sono quel grido di guerra, in nome della grandezza di Dio, contro l’umile nobiltà dell’umano... Racep Tayyip Erdogan, certo, ha preso per una volta le distanze dall’ignominia. Ma non l’ex primo ministro malese Mohamad Mahathir, che, poco dopo il bagno di sangue, ha affermato su Twitter che i "musulmani" hanno "il diritto di essere arrabbiati" e di "uccidere milioni di francesi". E lui stesso, Erdogan, il nuovo califfo ottomano, un Fratello Musulmano che ambisce ad essere il Padre della nazione musulmana e che ha emesso una vera e propria fatwa contro la Francia, si è ben guardato dal condannare gli squadroni della morte che, poche ore prima, a Vienne, nell’Isère, hanno cercato di fare un pogrom contro gli armeni. Dobbiamo ricordarcelo. Bisogna ripetere instancabilmente che ci sono, nella Francia di oggi, meno "lupi solitari" che "lupi grigi", questi paramilitari turchi responsabili della spedizione punitiva a Vienne. Va detto e ribadito che a forza di sorvolare sul terrorismo "low cost", generalmente "endogeno" e frutto di una "radicalizzazione fulminea", a forza di analisi su una violenza deterritorializzata, post-westfaliana, la cui vera griglia di lettura sarebbe da ricercare nella "teoria dei partigiani" alla maniera di Carl Schmitt, si finisce per dimenticare che questa violenza ha anche dei veri e propri sponsor statali che ispirano e manovrano i propri seguaci. E, nella lotta di lunga durata contro un Islam radicale che, nel mondo intero, ha dichiarato guerra alla civiltà e al diritto, bisogna essere implacabili con coloro che impugnano i coltelli e mettono le bombe, ma non bisogna dimenticare gli artificieri, gli incendiari delle anime, i capi piromani e le guide che telecomandano gli assassini. Emmanuel Macron lo fa. Non concede nulla alla Turchia e al Qatar. Ebbene, dobbiamo sostenerlo con forza e lavorare, ognuno per la parte che gli compete, per isolare questo male che sta corrodendo non solo la Francia, ma l’Occidente e il mondo. Dopodiché, come abbiamo cominciato a sentire nel corso di questo lugubre giovedì, dovremmo radicalizzare questa lotta contro i radicali? La legge è troppo lenta? La guerra che ci è stata dichiarata richiede risposte più rapide? Ed è giunto il momento di un’unità nazionale intorno a una giustizia d’eccezione che reinventi, contro i musulmani di Francia, non so quale legge del taglione?
La tentazione esiste, qua e là, la sentiamo. E la docilità con cui abbiamo accettato, in nome della lotta contro il virus, di sospendere le nostre libertà, non può, sia detto en passant, che incoraggiare i sostenitori di questa linea. Essa non è meno funesta. E per tre ragioni. 1. È ignorante: la legge del taglione, lungi dall’essere sinonimo di una vendetta isterica e senza limiti, è, nel pensiero ebraico, una giustizia misurata, proporzionata e scrupolosamente attenta al valore del danno inflitto. 2. È inutile: i partigiani di una giustizia preventiva, esonerandosi dai diritti della pace e facendo decorrere il crimine dall’intenzione di commetterlo, dovrebbero leggere l’edificante letteratura che ha accompagnato, nel 1998, negli Stati Uniti, la riabilitazione di Fred Korematsu, il coraggioso giurista che, per mezzo secolo, ha denunciato l’internamento d’ufficio, nel 1944, di migliaia di americani di origine giapponese. 3. È controproducente: non è forse la prima regola, in tempo di guerra, isolare il nemico, tagliargli la retroguardia? E quando si getta l’obbrobrio su tutti i ceceni ai quali è stato riconosciuto il diritto d’asilo, o su tutti i naufraghi di Lampedusa, non si cade nella trappola tesa da Erdogan e dai suoi? Gli assassini di Nizza non sono i portavoce dell’Islam. La lotta contro questo fascislamismo, come lo chiamai già nel 1994 ne La Pureté dangereuse, presuppone anch’essa una legge del taglione capace di valutare, in questo composto teologico-politico, che cosa appartenga all’Islam e cosa rimandi al fascismo. E proteggere il diritto alla caricatura e alla blasfemia, difendere una storia dell’insolenza francese che inizia con Villon, Marot, Molière, Béranger, gli chansonniers e arriva fino a Charlie Hebdo, non ci impedisce di poter rispettare anche l’Islam. Ho imparato questo rispetto in compagnia di Massoud l’Afgano; con i laici di Sarajevo, seguaci di un Islam illuminato; con i marocchini che ricordano un Sultano che ha salvato degli ebrei e che sono in prima linea nella lotta contro il terrorismo; l’ho imparato in Kurdistan da studiosi di religione che mi hanno ricordato che il Corano è un testo ispirato la cui ermeneutica fa parte dell’economia della Redenzione. In verità, non abbiamo scelta. O questo, o la guerra di tutti contro tutti. È la resistenza della ragione e della parola scambiata - o il farsi trascinare nell’abisso. È la convergenza, nella vita, tra le opere ebraiche, cristiane, musulmane e atee - o lo scontro, nella morte, di due Leviatani, forti di miliardi di uomini, da cui il mondo non potrebbe riprendersi.
Traduzione di Luis E. Moriones
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