Joe Biden vs Donald Trump: il primo è ben visto dall'Iran Nel pezzo di disinformazione di Farian Sabahi, la pifferaia degli Ayatollah
Testata: Il Manifesto Data: 30 ottobre 2020 Pagina: 6 Autore: Farian Sabahi Titolo: «'Pericoloso ma reversibile', l'Iran per Biden»
Riprendiamo oggi, 30/10/2020, dal MANIFESTO - Inserto, a pag. 6, con il titolo " 'Pericoloso ma reversibile', l'Iran per Biden", il commento di Farian Sabahi.
La tecnica di Farian Sabahi è ben nota a chi si occupa di informazione sul Medio Oriente e ai dissidenti persiani: presentare una parte della dissidenza accettata dal regime degli ayatollah in modo da far apparire l'Iran teocratico come non liberticida. La realtà, però, è differente. Farian Sabahi quando collaborava con La Stampa manipolò un'intervista a Abraham B. Yehoshua, il quale smentì con una lettera pubblicata sul quotidiano torinese. In quella circostanza Sabahi fu allontanata dalla Stampa. Poi ha cominciato a collaborare al Corriere della Sera e al Sole 24 Ore - evidentemente gode di buone entrature - propagandando l'immagine di un Iran moderato che è lontanissima dalla realtà: un "Iran-washing" con cui cerca di ripulire il regime degli ayatollah dai crimini che quotidianamente compie. Oggi la vediamo scrivere sul Manifesto: il posto più indicato per le sue idee. Informazione Corretta ha già denunciato più volte l'attività di Sabahi. Per avere maggiori informazioni sul lavoro da lei svolto in Italia, è utile sentire l'opinione dell'opposizione iraniana in esilio nel nostro Paese.
Nel pezzo di oggi, dal tono come sempre ostile all'Occidente, emerge la speranza iraniana di una vittoria elettorale di Joe Biden contro Donald Trump, che in questi quattro anni di presidenza non ha fatto sconti al regime degli ayatollah.
Ecco il pezzo:
Farian Sabahi
Joe Biden
In questi quattro anni alla Casa Bianca, Trump non ha tenuto fede all'accordo nucleare con Teheran, negoziato dal suo predecessore Obama: non essendo stato ratificato dal Congresso, il JCPOA (Joint Comprehensive Plan of Action) si reggeva sulla parola del presidente democratico. Dal 2018, Trump ha imposto ulteriori sanzioni che hanno messo in difficoltà l'Iran anche dal punto di vista sanitario perché impediscono le transazioni per l'importazione di farmaci salvavita. Nonostante la massima pressione dell'amministrazione Trump, i vertici della Re pubblica islamica non intendono cedere. Al contrario, l'uccisione del generale Soleimani a gennaio ha esacerbato gli animi e indebolito i moderati che chiedono un maggior impegno diplomatico. Di fronte all’allineamento di Bruxelles con Washington, gli iraniani hanno abbandonato le speranze che l'UE sia in grado di mantenere in piedi l'accordo: è l'incapacità degli europei a spingerli tra le braccia dei cinesi, con cui hanno sottoscritto un accordo economico e militare della durata di venticinque anni. Se anche nelle elezioni del 3 novembre dovesse vincere il democratico Biden, difficilmente i rapporti tra Washington e Teheran potrebbero migliorare. Vediamo perché. Nell'ultimo dibattito presidenziale Biden ha promesso che, se sarà eletto, Russia, Cina e Iran «pagheranno un prezzo» per le interferenze nelle elezioni mentre Trump, che ha scatenato nuove sanzioni, non ha espresso alcuna condanna. Facendo un passo indietro, a luglio il think tank newyorkese Council on Foreign Relations aveva invitato gli sfidanti di Trump a esprimersi su diverse questioni di politica estera. Alla domanda se, nel caso in cui fosse stato eletto, avrebbe mantenuto fede all'accordo con Teheran, Biden rispondeva: «L'Iran è un attore destabilizzante, non dovrà mai essergli permesso di sviluppare un'arma nucleare. Il presidente Trump ha abbandonato il JCPOA un accordo che ha bloccato il percorso dell'Iran verso le armi nucleari, come ripetutamente verificato da ispettori internazionali — senza nessun piano percorribile per produrne uno migliore. Le sue azioni irresponsabili hanno creato una crisi profonda nelle relazioni transatlantiche e spinto la Cina e la Russia più vicino all'Iran. Di conseguenza gli Usa, e non l'Iran, sono rimasti isolati». Da luglio sono però cambiate molte cose: i113 agosto il presidente statunitense Donald Trump ha annunciato l'inaspettata normalizzazione dei rapporti tra Emirati Arabi Uniti e Israele, ovvero l'avvio relazioni diplomatiche tra un paese del Golfo e lo Stato ebraico. E in questi giorni si parla di normalizzazione dei rapporti tra Sudan e Israele. Con queste mosse, a essere sempre più isolati sono gli iraniani, e non gli Usa. Tornando al discorso di luglio, Biden aveva anche sottolineato che, «come prevedibile, l'Iran ha riavviato il suo programma nucleare ed è diventato più aggressivo, avvicinando la regione a un'altra guerra disastrosa. In breve, le decisioni di Trump ci hanno lasciati in una situazione peggiore. Quello che l'Iran sta facendo è pericoloso ma reversibile. Se l'Iran tornasse a rispettare i suoi obblighi nucleari, tornerei al JCPOA come punto di partenza per lavorare con i nostri alleati in Europa e con altre potenze per espandere i limiti imposti dall'accordo. Questa mossa permetterebbe di ristabilire la credibilità degli US, facendo capire al mondo che la parola dell’America e gli impegni internazionali hanno di nuovo significato. Vorrei anche far leva sul rinnovato consenso internazionale nei confronti della politica dell'America verso l'Iran —e un impegno raddoppiato verso la diplomazia — per respingere in modo più effettivo un ulteriore comportamento maligno di Teheran nella regione». Alla luce delle affermazioni di Biden, nel caso riuscisse a vincere le elezioni il suo obiettivo sarebbe rafforzare ed espande l'accordo attraverso tre punti: l'inclusione del contestato programma missilistico di Teheran; la limitazione del sostegno della Repubblica islamica ai suoi proxy nella regione e quindi agli Hezbollah libanesi; l'estensione delle restrizioni imposte dal JCPOA che dovrebbero venire meno tra qualche anno. Se fosse eletto, Biden non riuscirebbe però ad averla vinta conTeheran: ayatollah e pasdaran non cederanno sui missili perché sanno di dover far da sé, visto che durante la guerra Iran-Iraq nessun paese fu disposto a venderli; il sostegno ai proxy rientra nella strategia della profondità strategica intesa come politica attiva nei teatri vicini per estendere i propri interessi in una regione militarmente presidiata dagli US; infine, il JCPOA avrebbe dovuto rappresentare il superamento della sfiducia di Teheran nei confronti degli US e dell'Europa, ma gli eventi dimostrano che la fiducia degli iraniani è mal riposta.
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