Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 30/09/2020, a pag.5, con il titolo 'Gli islamisti vogliono convertire il mondo. La pandemia favorisce l'offensiva di Ankara' l'intervista di Francesca Paci a Boualem Sansal.
Francesca Paci
Boualem Sansal
Nel 2015, l'anno della grande paura francese, il celebre scrittore algerino Boualem Sansal pubblicava il suo libro più angosciante, «2084: la fin du monde», la storia della dittatura totalitaria di un Dio invasivo fin nell'intimità che alludeva a una variante islamista della profezia orwelliana: una provocazione analoga a quella di «Submission», l'allora romanzo scandalo di Michel Houellebecq. Oggi Sansal guarda Nizza, Parigi, Avignone come un déjà-vu. E’ una profezia.
Due attentati in poche ore, tre in una settimana, le campane della patria della laicità che suonano in coro per le vittime della violenza. Cosa sta succedendo in Francia e perché proprio adesso? «Quella islamista è una strategia di lunga durata che puntando alla conversione mondiale agisce su piani paralleli, sociale, politico, filosofico, militare. In questo momento sfrutta una congiuntura molto favorevole perché l'Occidente è fiaccato dalla pandemia e la Francia, l'icona della laicità e dunque l'archetipo del nemico, lo è ancora più di altri Paesi: le condizioni giocano a favore di un attacco a tenaglia, Erdogan, il boicottaggio economico, l'azione di lupi solitari che, come nel passato, marciano in ordine sparso ma nella stessa direzione».
Il minimo comune denominatore di questi attentati è la sfida al solito "Charlie Hebdo" o c'è un filo rosso con Isis, il 2015? «In qualche modo si tratta sempre di lupi solitari che si nutrono di quanto trovano, internet, la rabbia della marginalità coltivata per decenni nelle banlieue da Qatar e Arabia Saudita, l'andirivieni con la moschea, dove c'è di tutto ma, inutile negarlo, c'è anche chi recluta giovani jihadisti. Il terrorismo è un'arma formidabile, con poco premette di azzerare il morale in un Paese e difatti la Francia intera in queste ore trema».
Quanto c'è in questo sangue dello scontro tra Macron e Erdogan e, soprattutto, quante divisioni ha il leader turco che prova a aizzare la umma, dal Cairo a Islamabad? «La vera posta in palio è la guida della conquista musulmana del mondo. Erdogan ci prova e in questo momento gioca la sua partita su più tavoli, la Libia, la Siria, la Grecia, l'Azerbaigian, fronti dove ha incrociato la Francia a più riprese. Denunciando il separatismo islamista Macron lo ha sfidato a viso aperto ma in qualche modo gli ha fatto un piacere, perché Erdogan sa che la Francia resterà sola, che dopo la solidarietà prevarranno le differenze tra i Paesi europei a partire dalla laicità dello Stato, che nella sfida contro la Turchia Parigi troverebbe più solidale Riad di Berlino ma se si tratta di Maometto Riad non si può schierare. Alla fine Ankara vincerà questo match perché la Francia affronta una situazione più grave e con tutti i vincoli di una democrazia».
Tutta colpa dei dissacratori di "Charlie Hebdo"? «Certamente quelle vignette hanno reso un gran servizio agli islamisti, sono semplicissime da diffondere per fomentare la rabbia cieca dei soldati senza coscienza. Ma è un effetto secondario. "Charlie Hebdo" fa il suo lavoro e lo fa bene, parla con la libertà di espressione da cui discendono tutte le altre, comprese quelle dei musulmani che vivono in Francia».
Erdogan accusa gli eredi di Voltaire di discriminare i musulmani come un tempo gli ebrei. Pensa che la Francia, "Je suis Charlie", abbia qualcosa da rimproverarsi in termini d'integrazione? «No, affatto. Gli immigrati musulmani sono venuti in Francia per lavorare e sono stati accolti con le loro famiglie, gli ebrei invece venivano cacciati. E' un parallelo osceno. La verità è che l'integrazione arranca per colpa dei Paesi d'origine che martellano sull'identitarismo musulmano, la rivendicazione, la differenza religiosa».
Cos'è l'islam politico, esattamente, e come ci si rapportano i musulmani francesi? «L'islam politico è un'ossessione europea ignota all'islam, che agisce sul piano religioso, su quello culturale e politico».
Il sociologo Vincent Geisser sostiene che la coesione sociale francese tenga botta, che il sangue non abbia innescato la vendetta anti-musulmana, che anche i cattolici preferiscano la blasfemia alla mattanza. E' così, tutta resilienza? «E' così per adesso, ma non ci scommetterei sul lungo periodo. Se le banlieue dovessero prendere coscienza del proprio potere la Francia esploderebbe e molti, a partire dalla Turchia, stanno soffiando sul fuoco. No, questo scontro non finirà presto. Tutti piangono per le decapitazioni, i morti, ma dura il tempo di un'emozione. Per vedere la luce in fondo al tunnel bisognerà aspettare il cambio di passo dei Paesi musulmani, riforme vere, un'evoluzione economica accanto a quella politica: allora la coabitazione con l'islam europeo diventerà semplicissima».
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