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Diego Gabutti
Corsivi controluce in salsa IC
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Due moderni racconti antitotalitari 28/10/2020
Due moderni racconti antitotalitari
Commento di Diego Gabutti

La lanterna magica di Molotov | Rachel Polonsky - Adelphi Edizioni
Rachel Polonsky, La lanterna magica di Molotov, Adelphi 2014, pp. 434, 28,00 euro

L'arte della cucina sovietica: Una storia di cibo e nostalgia (Frontiere  Einaudi) eBook: von Bremzen, Anya, Sacchi, Duccio: Amazon.it: Kindle Store
Anya von Bremzen, L’arte della cucina sovietica. Una storia di cibo e nostalgia, Einaudi 2014, pp. 376, 22,00 euro

Ritorno dall’URSS, il pamphlet del 1936 col quale André Gide metteva in guardia l’intellighenzia occidentale dagli ultracorpi stalinisti di cui paventava l’invasione, ha fondato un genere letterario: il memoir antitotalitario, erede diretto (ma insieme degenere e smagato) del reportage rivoluzionario, dei Dieci giorni che sconvolsero il mondo di John Reed, bohémien newyorchese, e delle fantasie moscovite di H.G. Wells, tifoso di Stalin.

Due saggi, La lanterna magica di Molotov di Rachel Polonsky e L’arte della cucina sovietica d’Anya von Bremzen, sono mirabili esempi di moderno racconto antitotalitario (niente da dimostrare, e tutto è storia – le cui lezioni sono state acquisite, o così si spera, una volta per sempre). Mentre Anya von Bremzen, emigrata in America da bambina e autrice di best seller gastronomici, racconta gli ultimi anni della Russia zarista e la lunga stagione socialista attraverso i sapori e gli odori del cibo comunista, la riscoperta delle ricette di cucina zariste, le cene «in stile Animal House» nella dacia di Stalin e le cene per augurargli di marcire all’inferno, Rachel Polonsky esplora «la fantasmagoria rivoluzionaria» degli ultimi due secoli di storia russa attraverso i resti della biblioteca di Vjačeslav Michajlovič Molotov. Braccio destro del Padre dei popoli, che per i suoi meriti di burocrate lo chiamava affettuosamente «culo di piombo» e che per metterne la fedeltà alla prova fece torturare e deportare sua moglie, Polina Žemčužina, Molotov fu espulso dal PCUS nel 1959 e trascorse il resto della sua vita nell’appartamento moscovita di cui Rachel Polonsky prende in custodia le chiavi nei primi anni novanta. «L’astemio Vjačeslav Molotov, ministro degli esteri sovietico», scrive Anya von Brezmen, «prendeva lezioni di tango», mentre «la sua imperiosa consorte, responsabile dell’industria cosmetica sovietica, organizzava distribuzioni di massa di profumi».

Oltre a ballare, come Rodolfo Valentino, con una rosa stretta tra i denti, Molotov firmò di suo pugno il patto Hitler-Stalin nel 1939, sottoscrisse decine di migliaia di condanne a morte e lesse montagne di libri. Poesia, letteratura, sociologia; il suo autore preferito era Anton Čechov, che Molotov considerava one of us, uno di noi, «un socialista». Sono i libri letti e sottolineati da questo stalinista irriducibile, e quelli mai neanche aperti, con le pagine ancora da tagliare, a fare da Baedeker a Rachel Polonsky nel suo viaggio attraverso le storie intrecciate di Russia e URSS (i luoghi letterari, Dostoevskij e Mandel'štam, i quartieri poveri ed eleganti di città e villaggi, le dispute ideologiche e religiose, i progrom contro la genetica e la fisica quantistica). Anya von Brezmen — per il suo viaggio nella storia di famiglia, dove spiccano alti ufficiali dei servizi segreti, protofemministe deportate nei lager e «superdissidenti» che trovano scampo nel Queens — consulta altri Baedeker, tra cui «l’ingombrante manuale di cucina di Mikojan, Il libro della buona e sana cucina, l’Artusi di regime», che «coi suoi predicozzi ideologici e il suo profluvio di splendide fotografie d’impianti di produzione e tavolate domestiche esponeva un programma completo per una vita socialista gioiosa e opulenta». «Gli anni trenta», spiega una vecchia signora ad Anya von Bremzen, «erano un festino in tempo di peste». È l’URSS come la racconta anche un grande libro di Gian Piero Piretto, Il radioso avvenire: l’URSS del Grande Terrore e della cartellonistica futurista, dei musical che piacevano a Stalin e dei cekisti (che gli piacevano ancora di più). È a questa Russia che forse pensavano i Beatles di Back In The USSR quando cantavano «I’m back in the USSR / You don’t know how lucky you are boys» — «sono tornato in URSS / non sapete quanto siete fortunati, ragazzi».

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Diego Gabutti

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