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Il successo di Trump nel Medio Oriente: rifiuto della guerra e politica di riappacificazione
Analisi di Antonio Donno Donald Trump, Joe Biden Con l’adesione del Sudan al contenuto degli Accordi di Abramo un altro importante tassello si è aggiunto al piano di pace di Trump. Seguiranno sicuramente altri paesi arabi a costituire il cordone sanitario intorno all’Iran sciita. In tutto ciò un ruolo fondamentale è stato svolto dall’Arabia Saudita, che già da tempo si è posta come il principale interlocutore tra il mondo arabo sunnita e Israele. In questo modo, il progetto di Donald Trump si avvia a concludersi con un esito rivoluzionario per il Medio Oriente. Due sono le chiavi del successo di Trump: la politica e la rinuncia alla guerra. Due concetti che nella storia si sono associati soltanto quando le parti in conflitto hanno rinunciato al confronto bellico e hanno fatto prevalere l’accordo politico sullo scontro armato. Esito che si è verificato non di frequente. Seguiamo il percorso che nei quattro anni di presidenza ha portato il presidente americano ad avere un ruolo fondamentale nella storia del Medio Oriente dopo la fine del secondo conflitto, un ruolo che nessun presidente americano è stato in grado di ricoprire con successo. Quando Trump entrò nella Casa Bianca, si trovò di fronte alla questione dell’Afghanistan e all’impegno di un gran numero di truppe americane in quel paese. Egli si pose questa domanda: che ci stiamo a fare lì? A buttar soldi e sprecare vite umane? Decise di richiamare in patria, gradualmente, i soldati americani, di fare in modo che le due parti in conflitto (governo afghano e talebani) cominciassero a negoziare e, in fin dei conti, a liberarsi del problema e, come disse Dante, “lascia pur grattar dov’è la rogna” (Paradiso, canto XVII). Nello stesso tempo, ha anche mantenuto nel cuore arabo della regione la presenza americana, per quanto di limitata entità, solo per interventi della massima urgenza, come la liquidazione del capo-terrorista iraniano, Qassem Soleimani, cui farà seguito, se necessario, quella del suo successore, Esmail Ghaani. Oppure, per distruggere alcune carovane di armi dirette da Teheran agli Hezbollah.
Militari americani in Afghanistan Antonio Donno |
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