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Ah, gli ingrati!
Commento di Michelle Mazel
(Traduzione di Yehudit Weisz)
In passato, un Presidente francese poteva dire, come fece il Generale de Gaulle, “Israele, nostro amico nostro alleato”. Quel tempo è finito. Nel conflitto arabo-israeliano, la Francia ha scelto di adottare incondizionatamente la narrativa palestinese. Questo si traduce in posizioni unilaterali. Se è ovvio che la politica israeliana è tutt'altro che immune alle critiche, le decisioni di Ramallah non lo sono da meno. Ci sarebbe piaciuto sentire forti condanne contro il virulento antisemitismo che si manifesta nei libri di scuola dell'Autorità Palestinese e condanne non meno forti contro il sostegno di Ramallah ai terroristi colpevoli di aver ucciso civili israeliani - uomini, donne e bambini. La realtà è molto diversa. Se vengono uccisi dalla polizia, gli assassini vengono elevati al rango di martiri, alle loro famiglie viene garantita una rendita vitalizia. Forse non intenzionalmente, ma non senza saperlo, la Francia sta contribuendo a perpetuare il clima di odio che rende difficile una soluzione pacifica alla questione palestinese. Lo stesso vale per la Striscia di Gaza. Il Quai d'Orsay non si pronuncia sui lanci di razzi contro i villaggi e i kibbutz di confine, non ha nulla da dire sui palloncini incendiari o carichi di esplosivi che devastano campi e foreste. Non abbiamo visto diplomatici francesi prendere posizione contro la vergognosa trattativa di Hamas, che cerca di monetizzare la restituzione dei poveri resti di due soldati israeliani, ma li abbiamo invece sentiti invitare l'IDF a esercitare più moderazione e ad evitare “rappresaglie sproporzionate”. Inoltre, abbiamo avuto l’impressione che tutti i media francesi si fossero mobilitati per sostenere “la grande marcia del ritorno” e “le manifestazioni popolari spontanee” pronte a far sì che centinaia di migliaia di abitanti di Gaza irrompessero entro i confini di Israele riconosciuti internazionalmente.
Samuel Paty
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