In passato, un Presidente francese poteva dire, come fece il Generale de Gaulle, “Israele, nostro amico nostro alleato”. Quel tempo è finito. Nel conflitto arabo-israeliano, la Francia ha scelto di adottare incondizionatamente la narrativa palestinese. Questo si traduce in posizioni unilaterali. Se è ovvio che la politica israeliana è tutt'altro che immune alle critiche, le decisioni di Ramallah non lo sono da meno. Ci sarebbe piaciuto sentire forti condanne contro il virulento antisemitismo che si manifesta nei libri di scuola dell'Autorità Palestinese e condanne non meno forti contro il sostegno di Ramallah ai terroristi colpevoli di aver ucciso civili israeliani - uomini, donne e bambini. La realtà è molto diversa. Se vengono uccisi dalla polizia, gli assassini vengono elevati al rango di martiri, alle loro famiglie viene garantita una rendita vitalizia. Forse non intenzionalmente, ma non senza saperlo, la Francia sta contribuendo a perpetuare il clima di odio che rende difficile una soluzione pacifica alla questione palestinese. Lo stesso vale per la Striscia di Gaza. Il Quai d'Orsay non si pronuncia sui lanci di razzi contro i villaggi e i kibbutz di confine, non ha nulla da dire sui palloncini incendiari o carichi di esplosivi che devastano campi e foreste. Non abbiamo visto diplomatici francesi prendere posizione contro la vergognosa trattativa di Hamas, che cerca di monetizzare la restituzione dei poveri resti di due soldati israeliani, ma li abbiamo invece sentiti invitare l'IDF a esercitare più moderazione e ad evitare “rappresaglie sproporzionate”. Inoltre, abbiamo avuto l’impressione che tutti i media francesi si fossero mobilitati per sostenere “la grande marcia del ritorno” e “le manifestazioni popolari spontanee” pronte a far sì che centinaia di migliaia di abitanti di Gaza irrompessero entro i confini di Israele riconosciuti internazionalmente.
Samuel Paty
A livello internazionale, i rappresentanti francesi sono sempre pronti a dare il loro voto alle mozioni contro lo Stato ebraico, sia nelle varie organizzazioni delle Nazioni Unite che nel Consiglio di Sicurezza. Forse ancora più grave è che la Francia, lungi dall'opporsi alle inique risoluzioni dell'UNESCO, che negano il legame storico del popolo ebraico con i suoi sacri luoghi millenari e con la spianata del Tempio, ha votato a favore. Sarebbe la fine di questa bellissima amicizia? Al termine delle preghiere sabato scorso, a Giaffa, quartiere a prevalenza araba, i fedeli sono venuti a manifestare davanti alla residenza dell'Ambasciatore di Francia situata poco distante. Nella Striscia di Gaza viene bruciata la foto del Presidente Macron. Qual è dunque il suo crimine? Secondo la versione diffusa dai social network e da molti canali arabi, le parole forti pronunciate dal Presidente francese per condannare l'islamismo radicale e le misure previste per combatterlo, non sono altro che un insulto all'Islam e al suo Profeta. Ancora peggio, ha osato dire durante l'omaggio a Samuel Paty: “Noi, professore, continueremo. Difenderemo la libertà che hai insegnato così bene e promuoveremo la laicità, non rinunceremo alle caricature, ai disegni, anche se altri si ritireranno”. Da qui le minacce di Hamas che fanno eco a quelle del suo grande amico e protettore, il turco Recep Tayyip Erdogan che, in un comunicato stampa, avverte che questa politica avrà delle conseguenze: “Insultare religioni e profeti non è una questione di libertà di espressione, ma promuove invece una cultura dell'odio”. Scommettiamo che la Francia, da brava ragazza, lo perdonerà?
Michelle Mazelscrittrice israeliana nata in Francia. Ha vissuto otto anni al Cairo quando il marito era Ambasciatore d’Israele in Egitto. Profonda conoscitrice del Medio Oriente, ha scritto “La Prostituée de Jericho”, “Le Kabyle de Jérusalem” non ancora tradotti in italiano. E' in uscita il nuovo volume della trilogia/spionaggio: “Le Cheikh de Hébron".