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Omaggio sotto forma di requiem
Commento di Michelle Mazel
Samuel Paty Come sono state belle queste cerimonie. Ovunque folle raccolte, silenziose. Dal Presidente ai politici, ai colleghi, agli studenti, ognuno è riuscito a trovare le parole per salutare il professore assassinato. Sembrava che la Francia intera esprimesse la stessa emozione. Ma di cosa si tratta precisamente? Cosa aveva fatto Samuel Paty, quel professore di storia e geografia alla Scuola Media Statale di Bois d'Aulne a Conflans Sainte-Honorine, in quella che un tempo era chiamata la “Francia profonda”, per meritarsi questa ondata di fervore? A prima vista, questo padre di 47 anni presentato come apprezzato dai suoi studenti e colleghi, aveva solo svolto il suo lavoro, e nella sua classe in una scuola della Repubblica, presunto bastione e baluardo di laicità, aveva parlato della libertà di espressione senza cui la libertà stessa non potrebbe esistere. E aveva ritenuto utile citare le vignette di Maometto, a proposito del processo sul sanguinoso attentato del gennaio del 2015 e del massacro dei giornalisti di Charlie Hebdo, il quotidiano satirico che aveva pubblicato queste vignette. Pensava di correre rischi? Sapeva che l'argomento è diventato un tabù un po’ dappertutto? Quasi vent'anni fa, nel 2002, la pubblicazione di “Territori perduti della Repubblica” aveva già gettato una luce cruda su alcuni quartieri dove la parola non era più libera e dove gli insegnanti avevano appreso a proprie spese i rischi che correvano facendo il loro lavoro. Avevano quindi capito che non si poteva più toccare temi così spinosi come l'antisemitismo, la Shoah, l'islam e neppure il sessismo. Ma questo grido di allarme non è stato ascoltato. Il fenomeno ha gradualmente superato i quartieri sensibili per poi diffondersi in tutto il Paese, mentre la laicità veniva abbandonata un po’ ovunque.
La tragica morte di Samuel Paty ha ricordato ai suoi concittadini che oggi, un professore che “si permette” di invitare alla riflessione su un argomento che susciti rabbia, lo fa mettendo a repentaglio la propria vita. Un diciottenne musulmano di origine cecena, giunto all'età di due anni in Francia, dove la sua famiglia aveva chiesto e ottenuto asilo politico, ha deciso di fargli pagare con la vita un immaginario insulto al fondatore dell’Islam. Uno che l'insegnante non aveva mai visto, con cui non aveva mai parlato, uno totalmente estraneo a quella scuola, ha fatto più di un'ora di strada per lanciarsi contro di lui con una ferocia estrema e poi accanirsi sul suo corpo, prima di pubblicare le macabre immagini sul suo account di Twitter. Chi ha avvelenato la sua mente, chi ha armato il suo braccio? Lo sappiamo fin troppo bene. La giustizia sarà in grado di indurli a render conto del loro operato? Niente è meno sicuro. Quale punizione dovrebbe essere inflitta a quell’allievo che è stato avvicinato all'uscita di scuola da un individuo che gli aveva chiesto di aiutarlo a trovare un professore “per costringerlo a scusarsi” e che ha accettato di farlo in cambio di poche centinaia di euro? Quali misure si possono prendere contro quelle istituzioni letali che insegnano l'odio? C'è ancora tempo? Domani, quale insegnante sarebbe pronto a correre a sua volta il rischio di “provocare” dei fedeli un po’ troppo suscettibili? Non abbiamo forse motivo di temere che questo tributo solenne, queste commoventi cerimonie rese a Samuel Paty e gli onori che gli sono stati riconosciuti postumi, siano in realtà solo un requiem per questa scuola pubblica che tanto tempo fa era l'orgoglio e l’onore della Francia?
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