L'islam francese e la diffusione dell'odio terrorista Analisi di Bernard-Henri Lévy
Testata: La Repubblica Data: 21 ottobre 2020 Pagina: 25 Autore: Bernard-Henri Lévy Titolo: «Appello all’Islam di Francia»
Riprendiamo dalla REPUBBLICA di oggi, 21/10/2020, a pag.25 con il titolo "Appello all’Islam di Francia" il commento di Bernard-Henri Lévy.
Bernard-Henri Lévy
Di primo acchito, ho pensato subito a Daniel Pearl perché, diciotto anni fa, è stato il primo di questa lugubre serie di decapitati da Al Qaeda, poi Stato Islamico. In effetti, ho pensato a lui anche perché all’epoca avevo riflettuto talmente a lungo sul suo supplizio e in Pakistan avevo svolto un lavoro minuzioso di ricostruzione degli ultimi istanti della sua vita che ho l’impressione di capire, almeno un po’, ciò che ha di particolare questo crimine. Gli occhi deliranti del boia… La sua mano, che impugna stretta il manico del coltello… La lama, con il fruscio dell’aria quando arriva accanto al viso… E poi lo sforzo disumano che occorre per infilzare, affondare, maciullare, tagliare e infine recidere del tutto la testa dal resto del corpo… Quell’attimo mi ossessiona, sì. Se un omicidio resta pur sempre un omicidio, non sono sicuro che ne esista uno così meticolosamente efferato. Né che esista un altro modo di uccidere che richieda un accanimento così feroce ed esperto. Né che un uomo qualsiasi possa improvvisarsi sgozzatore. L’assassino di Samuel Paty ha ripetuto più volte la scena del suo piano come gli assassini di Pearl? Si è forse impratichito – come loro o come gli algerini del Gia, il Gruppo islamico armato, o come ancora prima i peggiori criminali serbi in Bosnia – sugli animali da macello? A stabilirlo sarà un’inchiesta. E l’inchiesta stabilirà anche le responsabilità del genitore di un’alunna che ha lanciato l’allarme. O dell’imam che ha messo sulla testa del professore una specie di fatwa. L’inchiesta troverà anche chi insegna la crudeltà, chi sa che non si sgozza come si pugnala, non ci si risveglia una mattina decidendo, così, su due piedi, di decapitare un innocente. Mi è venuta in mente anche un’altra cosa. È il professore in quanto tale a essere stato preso di mira. Ha pagato con la vita la sua volontà di fare il suo nobile mestiere di insegnante fino alla fine. Si dice che abbia "provocato". O "scherzato con il fuoco". O offeso la fede dei giovani credenti. E sembra che, nel suo istituto, abbia trovato dei codardi che hanno sentenziato che, utilizzando le caricature di Maometto come materiale pedagogico, abbia mancato di rispetto ai suoi alunni. Non ci credo. Prima di tutto, perché ne ho abbastanza di questo discorso delle offese che vanno a sommarsi alla cultura della giustificazione per decolpevolizzare i crimini. E poi perché il signor Paty, prendendosi l’accortezza di avvisare i ragazzi che le caricature avrebbero potuto turbarli, è stato più scrupoloso che offensivo. E infine, più di ogni altra cosa, perché questa faccenda delle caricature è stata un pretesto, e la verità è che, non soltanto a Conflans, ma in tutta la Francia c’è una setta di assassini pronti a tutto pur di rendere impossibile perfino l’insegnamento, Charlie o non Charlie. Libertà di pensiero… Iniziazione all’Illuminismo… Insegnamento del sapere e dei ricordi… Si dice che i medici siano gli eroi di oggi. Oggi si deve dirlo anche degli insegnanti. Tenuto conto che la logica del terrorismo, come sappiamo dai tempi di Ravachol, è una logica della "suggestione" e del "mimetismo", dobbiamo aspettarci che parecchi insegnanti saranno in pericolo quando riprenderà la scuola dopo le vacanze dei Santi. Questi altri eroi, che sono dunque eroi tragici, dobbiamo non soltanto applaudirli, ma trovare il modo di proteggerli. Resta, poi, la questione di capire che cosa occorra fare, al di là dell’urgenza, a fronte di questa guerra interminabile che apre un nuovo fronte. C’è un errore morale dal quale è indispensabile tenersi lontani, oggi più che mai: cedere alla logica mostruosa di associare tutti i musulmani confondendoli in un’unica esecrazione. Esiste, tuttavia, anche un altro errore, simmetrico al primo, dal quale è indispensabile guardarsi bene e con la stessa energia: quello secondo cui, per evitare l’associazione, l’islamismo dell’assassino di Samuel Paty non "avrebbe niente a che vedere" con l’Islam. Per sfuggire a questa doppia trappola vi sono due modi. La Repubblica deve punire colpevoli e complici; deve dare la caccia a chi istiga all’odio; deve chiudere i luoghi di culto nei quali si incita al male; deve sciogliere le associazioni che, come il Collettivo contro l’islamofobia in Francia, accendono il fuoco negli animi. Deve applicare la legge, tutta la legge, nient’altro che la legge. Allo stesso modo, però, il cittadino francese che si ritrova, poco o tanto, nelle pagine del Corano, deve dissociarsi da questi fondamentalisti e dagli altri Indigeni della Repubblica; deve dire e ridire: "Il mio Islam non è il loro" e deve spiegare perché; deve, in altri termini, gridare forte: "Non in mio nome!". E tutto ciò, si badi bene, non perché sarebbe un "sospetto", né perché debba dare qualche dimostrazione, ma perché si è in prima linea in un conflitto ideologico di cui l’Islam è il teatro e la posta in gioco. Chi può rivolgersi ai numerosi giovani, che secondo i sondaggi non hanno dissentito quando è stata perpetrata l’esecuzione di un vignettista, se non i musulmani di Francia? Chi può ricordare a quegli adolescenti oscurantisti che esiste un Islam bello, amico della libertà di pensiero e della legalità, che nobilita i cuori e che, in intere regioni, ha dominato? Chi può assumersi l’incarico – così decisivo in tempo di guerra! – di isolare il nemico e di tagliargli i rinforzi? Questo compito spetta, che lo si voglia o meno, ai miei fratelli in Abramo. E, se coloro che si impegneranno avranno a loro volta bisogno della protezione della Repubblica, meriteranno di sentirsi dire: ai grand’uomini, alle donne esemplari, la patria è riconoscente.
Traduzione di Anna Bissanti
Per inviare a Repubblica la propria opinione, telefonare: 06/49821, oppre cliccare sulla e-mail sottostante