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Informazione Corretta Rassegna Stampa
18.10.2020 Il linguaggio della propaganda contro Israele
Analisi di Manfred Gerstenfeld

Testata: Informazione Corretta
Data: 18 ottobre 2020
Pagina: 1
Autore: Manfred Gerstenfeld
Titolo: «Il linguaggio della propaganda contro Israele»
Il linguaggio della propaganda contro Israele
Analisi di Manfred Gerstenfeld

(traduzione di Yehudit Weisz)

Propaganda, quando la persuasione diventa tossica - Annamaria Testa -  Internazionale

I vari governi che si sono succeduti in Israele, non hanno mai avuto strategie globali tese a combattere sistematicamente tutti i fronti di attacco contro il Paese. I Primi Ministri ed i loro colleghi ministeriali non riuscivano mai capire ciò che qualsiasi stratega principiante avrebbe compreso: e cioè che la lotta contro lo Stato israeliano ha molte armi e strumenti, e Israele deve combatterli tutti. Nessuno può ignorare la guerra aperta e il terrorismo, quindi il governo israeliano ha prestato molta attenzione a questi aspetti sul fronte della battaglia. Gli organismi creati a questo scopo, l'IDF e le agenzie di intelligence funzionano piuttosto bene. Alcuni anni fa, il governo israeliano aveva capito che anche la guerra informatica era pericolosa e di conseguenza ha istituito un'agenzia per affrontarla. In altre aree del campo di battaglia, Israele si è comportato in modo meno efficace e spesso con negligenza. Nell'affrontare i boicottaggi, la performance di Israele è stata insignificante. Il boicottaggio arabo è stato il primo e persiste da decenni: Israele ha cercato di aggirarlo in molti modi, alcuni con successo, molti altri meno. All'inizio del 21 ° secolo emerse un'altra forma di boicottaggio, oggi nota come BDS (Boicottaggio, Disinvestimento, Sanzioni). Il BDS era iniziato il 6 aprile del 2002 nel mondo universitario con una lettera aperta sul Guardian, firmata da oltre 100 docenti.  In essa si sollecitava una moratoria su tutti i rapporti culturali e di ricerca con Israele a livello europeo o nazionale, fino a quando il governo israeliano non si fosse attenuto alle risoluzioni delle Nazioni Unite e avesse aperto “seri negoziati di pace con i palestinesi, lungo le linee proposte in molti piani di pace, incluso il più recente sponsorizzato dai sauditi e dalla Lega araba.” Alla lettera aperta sono seguite altre iniziative in qualche modo simili: degli amici di Israele si sono espressi contro e il governo israeliano ha intrapreso pochissime azioni per molti anni. Israele ha ampiamente ignorato la massiccia guerra di parole che l’attaccava. Alcune nazioni sono maestre del combattimento verbale, con la Germania nazista al vertice: i nazisti hanno inventato un linguaggio quasi completamente nuovo per descrivere le proprie azioni criminali. Sono stati creati molti sinonimi per la parola omicidio. L'Unione Sovietica si piazza seconda per competenza. Prima che iniziasse a diffondere la voce “antisionismo”, questo termine non esisteva nei dizionari. Millenni prima, nel primo libro della Bibbia, esisteva già in modo drammatico la questione della lingua: Dio aveva distrutto la lingua comune di coloro che stavano costruendo la Torre di Babele, e così nacque il grande caos nella comunicazione. George Orwell aveva capito molto bene il ruolo che gioca il linguaggio.

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Nel suo libro “1984”, pubblicato nel 1949, aveva inventato la Neolingua, caratterizzata dall’intercambiabilità del significato delle parole e l’aveva sostituita all’inglese tradizionale. Sono spesso citate le seguenti espressioni: “la libertà è schiavitù, l'ignoranza è forza” e, molto importante per i palestinesi, “la guerra è pace”. La sinistra israeliana, e persino un certo numero di israeliani non impegnati politicamente, hanno spesso sostenuto l'idea fondamentalmente sbagliata di “terra per la pace”, giudicando in modo profondamente errato quanto i palestinesi hanno da guadagnare dalla pace. Ora tutto questo è stato in parte sostituito con “pace per pace.” Il governo israeliano può reagire di tanto in tanto, ma tutt'altro che sempre, se qualche personalità di primo piano accusa Israele di “apartheid”. L'ex Ministro degli Esteri socialista tedesco, Sigmar Gabriel, ad esempio, l’aveva fatto e in seguito se ne è scusato. Una delle distorsioni più frequenti usate contro Israele è quella di essere un “occupante” della Cisgiordania. Eppure Israele tutt'al più occupa una parte delle alture del Golan, che un tempo apparteneva allo Stato siriano. La Cisgiordania era nelle mani della Giordania: la sua sovranità fu riconosciuta solo dal Regno Unito e dal Pakistan. Non c'è mai stato uno Stato palestinese, quindi non può essere occupato. Dore Gold ha spiegato in dettaglio che lo status della Cisgiordania è “territorio conteso”: rilasciò questa dichiarazione poco dopo essere diventato Presidente del Jerusalem Center for Public Affairs nel 2000. Un altro termine profondamente radicato, è la “soluzione dei due Stati”. È difficile da affrontare perché il Presidente degli Stati Uniti Barack Obama aveva esercitato molte pressioni sul premier Benjamin Netanyahu affinché accettasse il concetto. Netanyahu lo ha fatto nel suo discorso di Bar Ilan del 2009, quando disse: "Se riceviamo queste garanzie riguardo alla smilitarizzazione e alle esigenze di sicurezza di Israele, e se i palestinesi riconosceranno Israele come lo Stato del popolo ebraico, allora saremo pronti per un accordo di pace futura per raggiungere una soluzione in cui uno Stato palestinese smilitarizzato esista accanto allo Stato ebraico.”

Uno Stato palestinese era già stato accettato in precedenza dai premier israeliani Ehud Barak ed Ehud Olmert nelle loro proposte di pace ai palestinesi. In questo contesto i funzionari israeliani non menzionano quasi mai che ci sono già due Stati nell'ex terra della Palestina mandataria: prima c’era lo Stato palestinese di Giordania, che occupa il 75% di quel territorio, e Israele. Un altro Stato palestinese - supponendo che Hamas e Fatah possano essere d'accordo - in Cisgiordania e a Gaza, sarebbe quindi un terzo Stato. Inoltre, il Piano di Trump, che Israele ha accettato, si basa su uno Stato palestinese accanto a Israele. Diversi autori si sono concentrati sull'uso incauto della semantica contro ebrei e Israele. Molto lavoro su questo è stato fatto dal linguista francese Georges-Elia Sarfati, che ha intrapreso un'analisi dettagliata del fenomeno. Sarfati ha sottolineato che il discorso è formulato sulla base della posizione ideologica di coloro che vi si impegnano. Ha detto: “Invece di essere neutre, le parole servono a introdurre una certa visione del problema che si affronta.” Questa espressione “soluzione a due Stati” è così profondamente radicata in Occidente che richiederebbe uno sforzo enorme solo per metterla in dubbio. E non perché il messaggio è complicato. Ma perché mai si dovrebbe trasformare l'entità criminale palestinese, permeata da un culto della morte, i cui leader glorificano il genocidio e premiano l'omicidio di civili, in uno Stato? La battaglia di Israele contro l'abuso dell’espressione “profughi palestinesi” da parte delle Nazioni Unite è stata combattuta in sordina. Esiste una definizione generica di ‘rifugiato’: “qualcuno che non è in grado o non vuole tornare nel proprio Paese di origine a causa di un fondato timore di essere perseguitato per motivi di razza, religione, nazionalità, appartenenza a un particolare gruppo sociale, o opinione politica.” In particolare e solo per i palestinesi, l’ONU ha allargato questa definizione per includere i discendenti dei rifugiati. Ciò ha vanificato il significato della parola e moltiplicato i problemi che ne derivano. Quasi nessun "rifugiato" palestinese è vero rifugiato secondo la definizione originale. Non sono fuggiti da Israele, anche se i loro genitori, nonni o bisnonni sopravvissuti possono averlo fatto e sono veri rifugiati. Eppure nessun giornalista internazionale lo fa notare o per indicarli, usa l'espressione “falsi rifugiati delle Nazioni Unite”. Un altro abuso lessicale è chiamare gli israeliani “coloni”. 

Quella parola era usata esclusivamente per le persone che andavano in terre solitamente a migliaia di chilometri dalla loro patria. Le linee di ripartizione del 1967 che separavano Israele dai territori palestinesi erano linee di armistizio, eppure sono spesso ed erroneamente chiamate "confini" del 1967. Ci sono anche molti esempi di abuso del linguaggio nel discorso sull’antisemitismo. Il governo francese era spesso solito parlare di "tensione tra comunità". Suggeriva che due comunità, quella musulmana e quella ebraica, fossero aggressive l'una verso l'altra. In realtà invece l'aggressione era unilaterale e l'odio verso la comunità ebraica aveva origine da alcuni membri della comunità musulmana. I palestinesi probabilmente sono ansiosi di vedere se Biden sarà eletto Presidente degli Stati Uniti e nel caso lo fosse, se stravolgerà il Piano di Trump. Se ciò dovesse accadere, potrebbe anche essere che i palestinesi decideranno di provare a organizzare una conferenza di pace per affrontare questioni concrete come i confini definitivi, lo status del Monte del Tempio, la smilitarizzazione di uno Stato palestinese e così via. È improbabile però che affronti una questione cruciale: come i palestinesi intendono sbarazzarsi del culto del genocidio e della morte che permea la loro società? Questo problema dovrebbe essere messo in primo piano nell'agenda internazionale da parte di Israele. Altrimenti, se verrà creato uno Stato palestinese, un'entità criminale diventerà uno stato-nazione criminale.

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Manfred Gerstenfeld è stato insignito del “Lifetime Achievement Award” dal Journal for the Study of Antisemitism, e dall’ International Leadership Award dal Simon Wiesenthal Center. Ha diretto per 12 anni il Jerusalem Center for Public Affairs.
Le sue analisi escono in italiano in esclusiva su IC



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