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Testata: La Stampa Data: 05 agosto 2002 Pagina: 1 Autore: Fiamma Nirenstein Titolo: «Un odio mortale che diventa suicida»
Una analisi criticamente lucida quella di Fiamma Nirenstein sulla Stampa del 5.8 e - giustamente - pubblicata come editoriale in prima pagina. Invitiamo i nostri lettori ad complimentarsi con La Stampa per l'articolo e per la posizione nella quale è stato stampato. Editoriali e opinioni
Un odio mortale che diventa suicida 5 agosto 2002
di Fiamma Nirenstein
NEL mare insanguinato degli attentati terroristici abbattutisi ieri su Israele, si scorge un segnale, apparentemente bizzarro, che chiede invece di essere letto. Ronen Schmuel, il conduttore dell’autobus che ieri è saltato per aria facendo dieci morti e decine di feriti, fu anche il conduttore dell’autobus numero 26 a sua volta attaccato da un terrorista suicida che saltò per aria a Gerusalemme il 21 agosto del ‘95 facendo cinque morti. Basta essere un cittadino israeliano, ed è ormai facile essere colpiti due, tre, quattro volte dal terrorismo.
Madre e bambini, nonna e nipoti, due sorelle, la stessa persona scampata per miracolo e poi uccisa in un attentato successivo... Perché questo terrorismo è un fenomeno gigantesco e genocida, è il segnale di un processo post-politico, post-nazionalista, ovvero di un terrorismo sociale frutto di una psicosi onnipresente in tutti gli strati della società palestinese, in tutte le età, in tutta la cultura politica e antropologica, scuola, tv, discorso pubblico. E’ il risultato di un’educazione totalitaria, come ha ben capito il presidente americano George Bush, senza cambiare la quale non ci sarà pace.
Oggi Hamas firma gli attentati, domani possono firmarli le Brigate di al Aqsa: non è molto importante. Il sentimento è identico, e l’unica cosa che può indurne un cambiamento è la drammatica rimessa in discussione della piramide politica e sociale. Sin dal 1947 la leadership araba rifiutò la spartizione, dopo il ‘67 evitò la trattativa con un potente fronte del rifiuto, più avanti, a Camp David, ha preso la strada della violenza invece che quella dello Stato palestinese.
Gli intellettuali, anche quelli più critici di Arafat, non osano opporsi moralmente al terrore (il documento di Sarin Nusseibah dice solo che porta danno alla causa) perché gli intellettuali non vanno contro il desiderio collettivo, verso l’espressione più compiuta di un cupio dissolvi alimentato da una reificazione del nemico visto come mostro. Gli israeliani, tutti gli ebrei, sono ormai oggetto di un attacco indiscriminato, e questo perché un’intera società vuole distruggerli autodistruggendosi.
Bush ha detto che questa società si merita una migliore leadership, più democratica, che le consenta di imboccare una strada di accettazione dell’Occidente e di Israele, e che questo finalmente consentirà ai palestinesi di avere il loro Stato, poiché Israele sarà tenuto, moralmente e politicamente, a grandi concessioni una volta liberato dal terrorismo.
E’ difficile capire come mai l’Europa insista nel sostegno alla vecchia leadership sotto la quale la popolazione non può scorgere sollievo per la propria miseria né gli agognati confini di uno Stato palestinese. Spesso si dice che l’esasperazione portata dai carri armati israeliani, la morte di tanti innocenti presi nel fuoco delle battaglie, sono una delle molle che alimentano il terrorismo. Questo è certamente vero. Ma si progettava per la settimana prossima un incontro Sharon-ministri palestinesi per stabilire un piano di aiuto e di parziale sgombero: non si sfugge all’impressione che al di là del desiderio di questa o quella fazione di evitare ogni compromesso, l’autolesionismo continui.