Riprendiamo dalla REPUBBLICA di oggi, 13/10/2020, a pag.31 con il titolo "Addio a Yehoshua Kenaz maestro dell’inquietudine" il commento di Lara Crinò.
Lara Crinò
Yehoshua Kenaz
All’inizio del suo romanzo più famoso, Non temere e non sperare (1986) lo scrittore israeliano Yehoshua Kenaz, scomparso a 83 anni dopo aver contratto il coronavirus, scrive: «Una voce interiore mi diceva che ci sarebbero state prove difficili e avrei dovuto (...) chiudermi in me stesso, adattarmi come quegli animali che si mimetizzano con l’ambiente circostante, non fare mai un mossa superflua, non farsi notare, avvolgersi su se stessi come una palla per ridurre al minimo la superficie vulnerabile. Vivere al margine».
La copertina del libro più importante di Kenaz (Giuntina ed.)
La voce narrante è quella di una giovane recluta della "compagnia dei cuori spezzati", un reparto dell’esercito israeliano dove, negli anni Cinquanta, vengono mandati a fare il servizio militare i ragazzi con problemi cardiaci. Parole che non solo valgono a evocare il tono di quel romanzo, storia antiretorica dei primi passi dello stato israeliano e insieme ritratto della giovinezza come condizione di attesa dolorosa, incertezza, speranza, ma anche parole che tratteggiano l’atteggiamento verso la vita dell’autore, uomo di leggendaria riservatezza eppure, dal "margine" che aveva scelto di abitare, grande osservatore dell’animo umano. Nato a Petach Tikva nel 1937 e cresciuto per alcuni anni ad Haifa, Kenaz aveva studiato all’università ebraica di Gerusalemme e lì aveva incontrato gli amici più importanti, gli scrittori Amos Oz e Abraham Yehoshua. Come loro, con cui ha continuato a trascorrere per il resto della vita la cena del venerdì sera, Kenaz ha voluto scrivere per raccontare Israele senza la rigidità delle narrazioni ideologiche dei "pionieri". Ha scelto, invece, di entrare con le parole dell’ebraico, lingua antichissima rinata per raccontare l’oggi, nell’intimità dei suoi personaggi. Come nota Shulim Vogelmann, alla guida della Giuntina, la casa editrice che pubblica Kenaz in Italia, c’è una comune tensione che unisce Non temere e non sperare agli altri suoi racconti e romanzi, da La grande donna dei sogni a Ripristinando antichi amori a Voci di muto amore. È la capacità di intuire come la nostra paura, e così tutte le altre nostre emozioni «parlano per noi e arrivano, silenziose, agli altri e talvolta possono indurre gli altri ad agire, nel bene e nel male». Capire cosa si agita nell’animo proprio e altrui diventa così la questione capitale della scrittura e conduce alla «precisione psicologica di cui era capace nel tratteggiare i suoi personaggi». Dopo aver studiato a Gerusalemme, Kenaz aveva frequentato la Sorbona. Per tutta la vita, oltre a scrivere di cultura per il quotidiano Haaretz, ha lavorato per l’editore Am Oved traducendo dal francese i classici, ma anche Simenon e Albert Camus. Così i condomini e le strade di Tel Aviv che erano, oltre all’amata Parigi, il mondo di un uomo che non amava viaggiare, si sono trasformati nello scenario di storie che sono profondamente israeliane ma hanno nel dna le tracce di questo amore per la letteratura francese, e un’ironia sottile che nasce dall’empatia per le umane debolezze. In Ripristinando antichi amori, la segretaria Gabi incontra il suo amante in un appartamento affittato all’uopo. All’ora di pranzo Gabi prepara per Hazi solo spuntini leggeri. Sa cucinare pasti elaborati, ma non lo fa: non vuole dargli l’impressione di ambire ad ampliare l’orizzonte dei loro incontri, «magari in altri orari» e in questo particolare sta tutto il gioco, talvolta leggero talvolta tragico, d’ogni relazione clandestina. In Momento musicale, rievocando un episodio della sua infanzia, Kenaz descrive la prima lezione al conservatorio di Haifa negli anni Quaranta, il timore di non essere all’altezza, di deludere le aspettative dei genitori, come «il mio primo incontro con il dolore dell’impossibilità e l’umiliazione della bugia che la maschera». Le sue pagine sono costellate di momenti simili, in cui guardare a se stessi, prima ancora che agli altri, senza infingimenti. A esergo di Non temere e non sperare mise una citazione da Cuore di Tenebra di Joseph Conrad: «Viviamo, come sogniamo, soli».
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