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La Repubblica Rassegna Stampa
12.10.2020 Islamismo neo-ottomano: ecco il programma di Erdogan
Analisi di Bernard-Henri Lévy

Testata: La Repubblica
Data: 12 ottobre 2020
Pagina: 17
Autore: Bernard-Henri Lévy
Titolo: «L’origine del malessere è l’innesto del risveglio del paradigma ottomano in un islamismo radicale nonché il leader che incarna questa unione»

Riprendiamo dalla REPUBBLICA di oggi, 12/10/2020, a pag.17 con il titolo "L’origine del malessere è l’innesto del risveglio del paradigma ottomano in un islamismo radicale nonché il leader che incarna questa unione" il commento di Bernard-Henri Lévy.

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Bernard-Henri Lévy

Ai tempi di Lamartine e Chateaubriand, si diceva della Turchia che era «il malato d’Europa». Due secoli dopo, sta diventando colei che fa ammalare l’Europa e, oltre l’Europa, il Mediterraneo e il Vicino Oriente. I sintomi di questo malessere sono ben noti: la sanguinosa invasione del Kurdistan siriano; il controllo di ogni velleità democratica nella parte occidentale della Libia; lo scontro con Cipro e, attualmente, con la Grecia al largo di Kastellorizo; l’episodio della fregata francese minacciata il 12 giugno al largo di Tripoli e la guerra quasi aperta, tramite l’Azerbaijan, con la piccola Repubblica d’Armenia. Anche l’origine di tutto questo è abbastanza chiara e tre anni fa gli dedicai un’intera parte di L’Empire et les cinq roi : il risveglio del paradigma ottomano e la nostalgia dei tempi in cui la Sublime Porta regnava sulla patria di Cristo e su quella di Socrate; l’innesto di questo progetto imperiale in un islamismo radicale, versione Fratelli Musulmani, di cui Ankara vuole essere la Mecca; senza contare la personalità singolare, per non dire caratteriale, dell’uomo che, fino a nuovo ordine, incarna questa combinazione esplosiva. La vera questione, dunque, non è più quella della diagnosi, ma dei rimedi di cui disponiamo, insieme ai nostri alleati americani, per contenere la minaccia. Ne vedo, a medio e breve termine, tre.

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Recep T. Erdogan


1. La Turchia è membro della Nato. In realtà, lo è dal 1952. E so che nel Trattato non esiste alcuna disposizione che preveda l’espulsione di un Paese membro. Ma può essere questo un motivo per accettare, come se fosse una cosa scontata, la vicinanza a un regime che sta massacrando, in Kurdistan, i nostri più fidati alleati nella lotta contro il Daesh? Non dovremmo almeno sollevare la questione del doppio gioco di un Paese che compra i suoi caccia F-16 dagli Stati Uniti e il sistema di difesa dello spazio aereo S-400 dalla Russia? E quanto vale l’eterna tesi secondo cui bisognerebbe evitare di gettare questo Paese nelle braccia di Putin quando vediamo che sta già moltiplicando i gesti di amicizia non solo con Putin, ma con l’Organizzazione per la cooperazione di Shanghai, che è l’alleanza rivale della Nato? Bisogna sospendere la Turchia. E bisogna, come minimum minimorum , richiamarla al rispetto degli articoli 1 e 2 del trattato, che impegnano i membri a "risolvere pacificamente le controversie internazionali" in cui in cui si trovassero coinvolti.

2. Questa stessa Turchia autoritaria e guerrafondaia ha un potente alleato che finanzia le sue provocazioni e che venne in suo aiuto, per esempio, quando, nell’estate del 2018, Erdogan prese in ostaggio il pastore Andrew Brunson e le sanzioni americane rischiarono di far saltare la sua moneta nazionale: il Qatar. Orbene, la stessa amministrazione americana ha appena annunciato, attraverso uno dei suoi sottosegretari di Stato, che offrirà al Qatar l’invidiabile status di "major non-Nato ally" (importante alleato fuori dalla Nato). Questo status, ricordiamolo, consente un accesso privilegiato alle attrezzature militari del Pentagono e alle relative tecnologie. Ne beneficiano, per il momento, Paesi come Israele, Australia, Giappone, Corea del Sud, Taiwan, Nuova Zelanda e Ucraina. L’Emirato che non bada a spese per destabilizzare l’Egitto, silurare l’accordo di pace tra Abu Dhabi e Gerusalemme o sostenere lo sforzo bellico di Hamas e di Hezbollah, in stretto collegamento con Ankara, come abbiamo visto, ha un suo posto in questo club? Dato che conosciamo il ruolo che non ha mai smesso di svolgere, nonostante ospiti una delle più importanti basi americane della regione, nell’aggirare le sanzioni contro l’Iran, non è forse follemente imprudente suggellare un’alleanza con questo Stato, potendo immaginare l’uso che se ne farebbe nel caso in cui le relazioni con la Turchia volgessero al peggio? E come non sperare che le ultime menti responsabili di Washington ritardino una decisione che, presa in questo modo, in fretta e senza contropartite, non può che mettere le ali all’uomo che, insieme a Putin, è il nemico pubblico numero uno delle democrazie? Avviso al prossimo presidente degli Stati Uniti: se si vuole contenere la Turchia, ci si deve allontanare dal Qatar.

3. E poi c’è la questione dell’adesione all’Europa. Se ne parla poco. E non sono nemmeno sicuro che i leader europei stessi ce l’abbiano troppo presente. Ma il processo di adesione, iniziato nel 2005, è ancora in corso. Sono stati aperti 16 capitoli di una trattativa che, per statuto, ne conta 32 e, ad eccezione di uno, essi sono ancora aperti. I funzionari sono all’opera. Esiste un "Consiglio di associazione" che si è riunito nel 2019. E, senza parlare dei tre miliardi di sussidi ottenuti dall’Unione al termine di un ripugnante ricatto sui migranti, centinaia di milioni di aiuti vengono versati ad Ankara ogni anno a titolo di pre-adesione. Si può sempre dire che nessuno in Europa ci crede veramente e che questa è una delle aberrazioni o, forse, delle inerzie del cui segreto è depositaria la burocrazia comunitaria. Può darsi. Ma non è il caso della Turchia. E per chi si prende la briga di leggere un mappamondo attraverso gli occhi degli ideologi del panturanesimo [il mito politico della riunificazione dei popoli di stirpe turca dall’Anatolia agli altopiani dell’Asia centrale, ndt ], neo-ittiti o neo-bizantini che danno a questo progetto neo-ottomano la sua cornice immaginaria e, come ai tempi di Solimano, di Mehmed II o di Enver Pasha, vedono l’Europa come una terra di conquista, la questione ha un significato simbolico completamente diverso... Non vedo perché questo simbolo debba essere regalato ad Ankara. Sarebbe suicida lasciare che i suoi lupi grigi tengano un piede nella porta semiaperta dell’Unione per farla saltare meglio. Una porta deve essere aperta o chiusa, disse Churchill a Inönü nel gennaio del 1943. Tra i valori dell’Europa e il patto di non aggressione che aveva firmato con i nazisti due anni prima, egli doveva scegliere. È così che bisogna parlare con Erdogan oggi. Ed è così che lo terremo a freno.
Traduzione di Luis E. Moriones

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