Cosa c’è dietro la lotta all'islamismo radicale: scopriamo le carte
Commento di Michelle Mazel
(Traduzione di Yehudit Weisz)
Evocare l'Islam radicale o il terrorismo islamico oggi in Francia significa avventurarsi in un campo minato tanto l'argomento è esplosivo. Ecco perché per anni questo tema è stato se non eluso, quanto meno avvolto da così tante formule ambigue che è stato difficile cogliere sia l'argomento che il pericolo. Certo, ci sono stati degli attentati, ma in fondo il Paese ne ha conosciuti in ogni epoca. Solo che non si trattava, come in passato, di anarchici, di sostenitori dell'Algeria francese o di emuli locali delle Brigate Rosse italiane. I media facevano dotte disquisizioni tra gli assassini isolati, spesso presentati come affetti da disturbi mentali o individui senza storia che all’improvviso sono impazziti senza sapere perché, e i “veri” terroristi addestrati all’estero. Tra queste due tipologie c'erano anche dei “giovani” (termine elastico che può arrivare fino a trent'anni), spesso cresciuti in “quartieri sensibili” (eufemismo per periferie dove regna l’illegalità), che erano stati radicalizzati, poverini, nelle carceri dove la Repubblica li aveva imprigionati. Per i primi, l'elemento islamista è stato quindi deliberatamente ridotto anche quando il crimine era stato compiuto al grido di Allah Akhbar. Ai secondi venivano invece attribuite motivazioni politiche e non religiose. E così Mohamed Merah, che nel 2012 aveva ucciso e ferito soldati francesi prima di assassinare a sangue freddo un adulto e tre bambini nei locali di una scuola ebraica, avrebbe agito perché l'esercito francese stava attaccando i movimenti jihadisti e per vendicare i crimini di Israele in Palestina. Il fatto che abbia filmato le sue imprese, con dei versi del Corano sullo sfondo, era stato considerato secondario. Ci è voluto lo shock degli attacchi del 2015 - Charlie Hebdo e Hyper Kosher a gennaio e il massacro del Bataclan a novembre di quello stesso anno - perché la Francia si rendesse conto della gravità della minaccia. Tuttavia, non era ancora pronta per affrontarla.
Waleed al Husseini
Come spiega la pubblicista Waleed al Husseini, una palestinese della Cisgiordania a cui è stato concesso asilo politico in Francia dopo essere stato condannato per blasfemia, “Voi non potete fermare l'islamismo senza oltraggiare l'Islam; non potete fermare gli islamisti senza mettervi contro una parte dei musulmani.” Ma la “politica araba” della Francia è ben nota; il Quai d'Orsay vuole a tutti i costi evitare di offendere coloro che considera suoi partner privilegiati in Medio Oriente. L'Agence France Presse ha appena rifiutato di firmare il manifesto di Charlie Hebdo per la libertà di stampa, per “non mettere in pericolo le sue équipes nei Paesi musulmani dove questo diritto è considerato una provocazione.” Se il Presidente Macron si è finalmente deciso a reagire è perché, per usare le parole di Gérard Darmanin, Ministro dell'Interno, “ il Paese è stufo del suo comunitarismo e di un islam politico che oggi vuole rovesciare i valori della Repubblica.” Il rimedio secondo il Presidente sarebbe liberare l'Islam in Francia dalle influenze straniere, formare in Francia degli imam “che difendano un Islam compatibile con i valori della Repubblica. Si tratta soprattutto di supervisionare e monitorare l’educazione impartita ai bambini”. Un programma molto disapprovato dalle istituzioni islamiche di tutto il mondo. Il Grande Iman Ahmed al-Tayeb, sceicco della prestigiosa istituzione di Al Azhar, ha subito espresso la sua collera per il razzismo del Presidente francese e per le false accuse rivolte all’Islam.
Michelle Mazel scrittrice israeliana nata in Francia. Ha vissuto otto anni al Cairo quando il marito era Ambasciatore d’Israele in Egitto. Profonda conoscitrice del Medio Oriente, ha scritto “La Prostituée de Jericho”, “Le Kabyle de Jérusalem” non ancora tradotti in italiano. E' in uscita il nuovo volume della trilogia/spionaggio: “Le Cheikh de Hébron".