Il sultano Erdogan e gli armeni Commento di Vittorio Robiati Bendaud
Testata: La Verità Data: 07 ottobre 2020 Pagina: 16 Autore: Vittorio Robiati Bendaud Titolo: «Il sultano di Ankara sogna l'impero»
Riprendiamo dalla VERITA' di oggi, 07/10/2020, a pag. 16, con il titolo "Il sultano di Ankara sogna l'impero", il commento di Vittorio Robiati Bendaud.
Vittorio Robiati Bendaud
Il sultano Erdogan
Gli armeni resistono e questa è l'unica buona notizia al momento. Un aeroporto azero è stato bombardato con successo dalle forze armene, venendo cosi neutralizzato. Non stupisce che molti aerei colà presenti fossero turchi, il che dovrebbe imporre domande gravissime e urgenti alle forze Nato e all'Unione europea. L'altro giorno Los Angeles è stata paralizzata da un'immensa manifestazione pacifica automobilistica di armeni: i discendenti dei sopravvissuti all'opera genocidaria dei Giovani turchi e dei loro sodali. Mobilitazioni simili, più o meno estese, stanno avendo luogo in tutto il mondo libero. Macron si è schierato a fianco dell'Armenia, come in precedenza ha preso misure a favore della Grecia (la quale ha inviato un contingente di truppe a difendere l'Armenia). Se Macron si schierato, con un'iniziativa ottima ma tutta francese, la Ue balbetta imbarazzata: la Spagna ha interessi bancari milionari con la Turchia e il nostro Paese, come altri, non è da meno. La Germania - antica alleata del governo genocidario dei Giovani turchi e, in precedenza, del sultana «rossore Abdul Hamid che impunemente massacrò a centinaia di migliaia gli armeni già a fine '800 -, che ospita un'enorme comunità turca, tace, come si è dimostrata abbondantemente silente in relazione agli attacchi di Erdogan alla Grecia. Dalle forze di Yerevan riceviamo ulteriori conferme circa lo spostamento di milizie islamiste dell'Isis (e non solo) lungo i confini armeni, grazie alle truppe turche e azere. Questo conferma quanto riportato già anni fa dai cristiani iracheni, dagli armeni siriani, dagli yazidi nell'ottusità distratta e colpevole dell'Occidente: il legame tra la Turchia di Erdogan, i Fratelli musulmani - che oggi vedono in lui il principale punto di riferimento, coniugante neo-ottomanesimo e panslamismo - e le forze Isis. Erdogan è ai confini dell'Europa (inclusi i confini italiani) e ai confini dell'Armenia, e l'Occidente incredibilmente non riesce ancora a comprendere che si tratta della stessa partita, giocata abilmente e con una progettualità lucida, capace di attendere. A rendere ancor più fosco il quadro, il ruolo di Israele. Se gli armeni, almeno negli ultimi decenni, sono alleati degli iraniani, per evidenti e validissimi motivi di sopravvivenza, per ragioni non dissimili, ma esattamente contrarie, Israele è alleato degli azeri, in funzione anti-iraniana, incluso un pessimo commercio di armi, impiegate anche contro gli armeni. Non c'è nulla di letterario in tutto ciò e drammaticamente la realtà supera ogni più oscena fantasia: sicché due popoli sopravvissuti a due genocidi - tra loro peraltro storicamente collegati a triplo filo -, si trovano rispettivamente alleati con potenze regionali che vorrebbero reiterare nei riguardi dell'una o dell'altra minoranza, ricostituitasi in sovranità nazionale, mattanze definitive. E in questo caso è macroscopico il legame azero-israeliano, con i suoi orribili droni, nonostante il paradossale odio antisraeliano e antiebraico, non reversibile, avviato, con l'egida subdola della Fratellanza islamica, da Erdogan. Cortocircuito totale. Tuttavia, se la realpolitik imprigiona Armenia e Israele, bisognerebbe però aprire gli occhi, più correttamente, su chi siano oggi Turchia, Azerbaijian e Iran. E su chi siano gli occidentali, coinvolti anche loro nella vendita di armi e in politiche prone a certi governi, come pure i russi, che tutelano sl l'Armenia, nonostante al contempo abbiano venduto loro stessi armi gli azeri. S'impone una riflessione etica e politica per noi occidentali sulla rimozione del genocidio armeno, sul suo essere erroneamente stato ridimensionato per gravità e ricadute nella contemporaneità, nonché, ancor più, sull'opera politica sostanziale e vitale per la quasi centenaria Repubblica di Turchia di negazionismo sistematico di detto genocidio, perseguita tanto in Europa che negli Stati Uniti, spesso con successo. Chi ama il mondo libero, sa che la battaglia si combatte a Gerusalemme, come a Yerevan e Stepanakert. Se, Dio non voglia, dovessero cadere, non si pensi che Parigi, Roma e Londra resisterebbero molto di più, anche perché assai più impreparate delle capitali armene e israeliana.
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