Riprendiamo dalla REPUBBLICA di oggi, 06/10/2020 a pag. 33 con il titolo "Così la Brigata Ebraica guidò i sopravvissuti in Palestina", il commento di Enrico Franceschini.
Enrico Franceschini
La copertina
In una sera di giugno del 1946, l’ex-corvetta della marina militare canadese Wedgwood salpa dal porto ligure di Vado con a bordo uno strano equipaggio di un migliaio di uomini e donne. Domenico Farro, oggi un pescatore 84enne ancora residente nella cittadina in provincia di Savona, non ha dimenticato l’impressione che gli fecero quelle facce smunte: tira in dentro le guance per mostrare quanto fossero scavate da fame e sofferenze, più di un anno dopo la fine della Seconda guerra mondiale. Da simili testimonianze dirette, rintracciate meticolosamente da un capo all’altro dell’Europa, la ricercatrice inglese Rosie Whitehouse ha ricomposto la storia di come i soldati della dissolta Brigata Ebraica dell’esercito britannico, subito dopo la fine del conflitto, organizzarono un’operazione segreta per trasportare clandestinamente in Palestina migliaia di sopravvissuti dell’Olocausto, desiderosi di lottare e se necessario combattere per creare lo stato di Israele. Il risultato della sua inchiesta è The people on the beach - journeys to freedom after the Holocaust, un libro pubblicato nel Regno Unito, di cui ha fornito un’anticipazione il Times. La Gran Bretagna è la prima nazione a riconoscere nel 1917 il diritto a «una dimora nazionale per il popolo ebraico» in Palestina, allora parte dell’Impero ottomano, avvicinando l’obiettivo sionista di uno stato ebraico. Ma alla vigilia della Seconda guerra mondiale, mentre Londra controlla la Palestina attraverso il cosiddetto “mandato britannico”, il governo di Neville Chamberlain si oppone all’immigrazione degli ebrei in Palestina. Tuttavia, nel 1944 Churchill in persona autorizza la formazione di una Brigata Ebraica composta da circa 5 mila volontari ebrei della Palestina mandataria e di altre regioni. Il battesimo del fuoco per quei battaglioni avviene sul fronte italiano, a Brisighella, in provincia di Ravenna, contro unità tedesche che non possono credere di trovarsi di fronte soldati con la bandiera della stella di Davide e l’uniforme inglese. Nel 1945 la Brigata viene dislocata a Tarvisio, in Friuli, per tenerla lontana da possibili vendette in Germania. Senonché, così facendo, l’alto comando britannico fornisce al corpo di volontari ebrei una carta decisiva per il suo ruolo successivo: vicina al confine con l’Austria, Tarvisio è una base perfetta per soccorrere i superstiti della Shoah e aiutarli a emigrare in Palestina. Oltre che per individuare e uccidere ex-criminali nazisti che cercano di nascondersi.
Il club della Brigata Ebraica, a Palazzo Odescalchi, a Milano, si trasforma in un ufficio fantasma di emigrazione dal quale passano migliaia di profughi scampati ai lager di Hitler. Nell’ex-colonia fascista di Sciesopoli, a Selvino, nelle Prealpi bergamasche, la Brigata apre un centro di accoglienza per 800 bambini ebrei rimasti orfani e prepara anche loro all’emigrazione. E dai porti della Liguria, in particolare quello di Vado, organizza la partenza di ex-navi militari o imbarcazioni di fortuna, carrette del mare acquistate per quattro soldi per un viaggio di sola andata fino in Palestina. La Wedgwood, che durante la guerra dava la caccia alle U-boat tedesche, è una di queste: dopo un’odissea di otto giorni in cui evade il blocco navale britannico, i suoi passeggeri sbarcano finalmente a Haifa. Sono la “gente sulla spiaggia” a cui allude il titolo del volume: un anno dopo giunge la risoluzione dell’Onu che riconosce uno stato ebraico in Palestina e nel 1948, dopo la guerra d’indipendenza risultata dall’attacco dei paesi arabi, la nascita dello stato di Israele. Più di 20 mila ebrei arrivano nella Terra Promessa grazie alla Brigata Ebraica, i cui soldati non obbediscono più a Londra bensì a David Ben Gurion. Il libro di Rosie Whitehouse narra questa epopea poco conosciuta tra i cui eroi abbondano gli ebrei italiani, come Ada Sereni e il marito Enzo, paracadutatosi dietro le linee tedesche, quindi catturato e morto nel campo di concentramento di Dachau. Una storia, nota l’autrice, nella quale i sopravvissuti dell’Olocausto emergono “non come un popolo debole e oppresso, né come aggressivi imperialisti decisi a conquistare una terra straniera”.
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