domenica 24 novembre 2024
CHI SIAMO SUGGERIMENTI IMMAGINI RASSEGNA STAMPA RUBRICHE STORIA
I numeri telefonici delle redazioni
dei principali telegiornali italiani.
Stampa articolo
Ingrandisci articolo
Clicca su e-mail per inviare a chi vuoi la pagina che hai appena letto
Caro/a abbonato/a,
CLICCA QUI per vedere
la HOME PAGE

vai alla pagina twitter
CLICCA QUI per vedere il VIDEO

Lo dice anche il principe saudita Bin Salman: Khamenei è il nuovo Hitler


Clicca qui






Il Foglio Rassegna Stampa
06.10.2020 Storia della 'relazione speciale' Inghilterra-Stati Uniti
Gregorio Sorgi intervista Ian Buruma

Testata: Il Foglio
Data: 06 ottobre 2020
Pagina: 3
Autore: Gregorio Sorgi
Titolo: «La fine della relazione speciale»

Riprendiamo dal FOGLIO di oggi, 06/10/2020, a pag.III con il titolo "La fine della relazione speciale" l'intervista di Gregorio Sorgi a Ian Buruma.

The case of Ian Buruma: why you can't have some debates | Letras Libres
Ian Buruma

La rivolta populista in America e Gran Bretagna ha cambiato il mondo ma non ha salvato la special relationship. Ian Buruma non poteva scegliere un momento migliore per scrivere un libro sulla fine dell'alleanza anglo-americana. I britannici seguono ossessivamente la campagna elettorale statunitense, sperando che l'esito del voto possa cambiare le sorti del proprio paese. Ma per Buruma, noto analista ed ex direttore della New York Review of Books, questo è l'ennesimo segno di una vecchia illusione. La sua tesi è la seguente. La special relationship è stata un'invenzione retorica di Churchill per convincere Roosevelt a intervenire nella Seconda guerra mondiale. Ma dopo il 1945 l'alleanza anglo-americana ha perso la sua ragione d'essere ed è diventata un rapporto sempre più squilibrato. Come disse l'ex segretario di stato Colin Powell all'allora ambasciatore britannico Cristopher Meyer, "vi cagate sotto quando noi americani ci dimentichiamo di menzionare la special relationship"."Quest'espressione viene raramente usata dai politici americani", spiega Buruma in una conversazione con il Foglio: "La special relationship è sempre stata più speciale a Londra che a Washington. L'americano medio non conosce e non è interessato a ció che succede nel resto del mondo. Probabilmente non vede la Gran Bretagna in modo diverso dagli altri paesi europei. La più grande affinità è linguistica: per questo gli attori e registi britannici hanno successo a Hollywood. Ma oltre a questo non è rimasto granché dell'alleanza".

US election 2020 polls: Who is ahead - Trump or Biden? - BBC News
Joe Biden, Donald Trump

Secondo Buruma la special relationship è sopravvissuta solo sul piano simbolico. Churchill è diventato una leggenda in America, ed è considerato un eroe nell'immaginario collettivo. Donald Trump ha ripristinato un busto dello statista conservatore appena insediatosi alla Casa Bianca. La regina Elisabetta ha regalato al presidente americano un libro di Churchill sulla Seconda guerra mondiale Nessun presidente ha avuto un approccio sentimentale alla special relationship. Non c'è ragione di credere che Biden sarà diverso dopo il loro primo incontro nel 2018. Il saggio di Buruma, "The Churchill Complex" (Atlantic Books), rende omaggio all'ex primo ministro. La leggenda di Churchill ha ispirato generazioni di presidenti americani che hanno voluto imitare l'eroe della guerra, con scarso successo. "Agli occhi degli statunitensi ci sono due tipi di leader: Chamberlain e Churchill. Chamberlain è sceso a compromessi con Hitler nell'accordo di Monaco del 1938 ed è passato alla storia come un debole. Churchill, il suo successore, ha salvato l'Europa dalla minaccia nazista e viene tuttora venerato come un eroe". Il "complesso di Churchill" però si è rivelato una maledizione, e ha spinto i leader anglo-americani a combattere delle "guerre sciocche" e in alcuni casi distruttive. Buruma fa l'elenco: Nixon nel conflitto in Vietnam, Thatcher nelle Falkland, Bush e Blair in Iraq e infine Johnson nei negoziati con l'Unione europea. "Nessuno di loro voleva passare alla storia come Chamberlain e questo ha giustificato delle scelte disastrose, da cui Churchill si sarebbe probabilmente dissociato".

Gli euroscettici britannici hanno esaltato lo "spirito del Blitz" degli anni Quaranta, quando il paese è rimasto solo a difendere l'Europa dai nazisti. Johnson vuole essere visto come l'erede di Churchill. "Eppure lo statista conservatore era un sostenitore della cooperazione internazionale e un pioniere dell'integrazione europea, anche se probabilmente contrario a un coinvolgimento diretto dei britannici. Churchill avrebbe trovato assurda l'uscita della Gran Bretagna dall'Ue, che comporta una grande perdita di influenza. Anziché essere una potenza europea, il Regno Unito diventerà un paese provinciale che nemmeno gli americani prenderanno più sul serio". Secondo Buruma il populismo anglo- americano è la negazione dei "valori nobili" per cui Churchill e Roosevelt hanno combattuto. Trump ha riesumato l'isolazionismo che andava di moda negli anni Trenta. Lo slogan America First apparteneva a Charles Lindbergh, che era contrario all'intervento statunitense nella Seconda guerra mondiale e preferiva la Germania nazista alla Gran Bretagna. Non a caso il migliore amico di Trump oltreoceano è il leader del Brexit Party Nigel Farage, che "negli anni Trenta sarebbe stato probabilmente un fascista". Johnson invece appartiene a un'altra razza. Ci sono sicuramente delle affinità con Trump: sono entrambi populisti, narcisisti, vedono la politica come uno show e sfruttano il malcontento di chi si sente dimenticato. Ma le analogie finiscono qui. "Johnson è una persona più istruita che ha delle proprie idee politiche. Trump invece è un ignorante che non crede in nulla, oltre alla conquista del potere. Il presidente è perfido; è arrabbiato con il mondo e vuole umiliare i suoi nemici. Dobbiamo stare attenti a non spingerci troppo in là con il paragone". Buruma crede che ci sia un legame tra la special relationship e la Brexit. Il mito dell'alleanza anglo-americana ha alimentato l'euroscetticismo britannico, tanto che molti brexiteers si sentono più a casa a Washington che a Bruxelles. Eppure finora il presidente americano non ha offerto grandi concessioni ai britannici. Non abbiamo sopravvalutato le sue credenziali da euroscettico? "Trump ha un odio istintivo per le istituzioni internazionali e questo è stato il motivo per cui ha sostenuto l'uscita del Regno Unito dall'Ue. Co- me tutti i capi di governo, il suo sguardo era rivolto verso la politica nazionale: credeva di potere sfruttare la retorica di Johnson e Farage nelle elezioni americane. Ovviamente finora non ha fatto alcuna concessione al Regno Unito nelle trattative sull'accordo commerciale. Nessun presidente ha avuto un approccio sentimentale alla special relationship. Nel 1940 Roosevelt ha venduto le armi agli inglesi a caro prezzo. Non c'è ragione di credere che Joe Biden sarà più clemente con il Regno Unito, anzi il contrario". Uno degli aneddoti più curiosi del libro è che l'allora senatore del Delaware Joe Biden era a favore della guerre delle Falkland. "Siamo con voi perché siete britannici", disse all'ambasciatore inglese dell'epoca. Biden potrebbe essere un presidente più anglofilo di quello che crediamo? "Lo dubito. Lui è molto fiero delle sue origini irlandesi quindi Johnson dovrà stare attento a non comportarsi come un nazionalista inglese, altrimenti le cose si metteranno male. Biden non avrà alcun trattamento di riguardo nei confronti di Londra. Si comporterà come i suoi predecessori che da decenni danno precedenza all'Ue e soprattutto alla Germania piuttosto che alla Gran Bretagna".

Negli ultimi mesi il Regno Unito e l'America hanno vissuto dei fenomeni simili: le proteste di Black Lives Matter, l'abbattimento di statue e simboli considerati offensivi, la rivolta contro l'uso della mascherina. Se la special relationship è morta, esiste almeno un'affinità culturale tra i due paesi? "La Gran Bretagna ha un debole per la cultura americana piuttosto che il contrario. L'Inghilterra è il paese europeo più vicino agli Stati Uniti per ragioni linguistiche. Questo significa che l'influenza culturale statunitense ha un grande impatto nel Regno Unito e poi si diffonde nel resto d'Europa. La Gran Bretagna è un condotto della cultura americana, e lo è stata anche ai tempi della rivolta giovanile degli anni Sessanta". Buruma è tra le vittime di una nuova ideologia anglo-americana: la cancel culture, che censura tutto ciò che non si adegua ai dettami del politicamente corretto. L'allora direttore della New York Review of Books, un'istituzione liberal, fu costretto a dimettersi nel settembre del 2018 dopo avere pubblicato un articolo del presentatore canadese Jian Ghomeshi, accusato di molestie sessuali da venti donne. Nell'articolo Ghomeshi si lamentava dell'intolleranza nei suoi confronti e delle umiliazioni ricevute nonostante l'assoluzione in tribunale. Eravamo in pieno Metoo e in pochi avevano intravisto i rischi di questa nuova intolleranza. Anche il protagonista del libro di Buruma - Churchill - è stato vittima di questa intolleranza: alcuni manifestanti hanno sfregiato la sua statua a Londra. Tuttavia, Buruma prevede una rivolta imminente contro la cancel culture. "In un certo senso questa rivolta è già in corso. I giovani sono attratti da un autoritarismo di estrema destra che viene rappresentato dal pensatore canadese Jordan Peterson, secondo cui bisogna ristabilire il dominio dell'uomo. Questa è una delle possibili conseguenze della cancel culture, anche se molto dipenderà dall'esito delle elezioni presidenziali di novembre. Molti liberal in America e altrove sono infastiditi dall'autoritarismo della sinistra ma hanno avuto paura di esprimersi durante la presidenza Trump. Se vincessero i democratici sarebbe più semplice fare autocritica. Trump aumenta la polarizzazione e ti obbliga a scegliere da che parte stare. Non puoi essere indifferente e non puoi essere ambiguo. Con un'amministrazione democratica tutto questo sarebbe possibile".

Quindi i paladini della cancel culture stanno facendo un regalo a Donald Trump? "Certamente, questo è l'ennesimo esempio della legge delle conseguenza inattese. Mi riferisco soprattutto a quelli che vogliono controllare il linguaggio e decolonizzare la vita accademica. Stanno facendo un enorme regalo alla destra. I loro nemici, che vengono costretti alle dimissioni, solitamente appartengo- no al mondo liberal. Magari non sono abbastanza di sinistra per i loro criteri, ma sono pur sempre liberal. Il problema è che quando noi ci lamentiamo della cancel culture la stessa critica viene espressa dalla destra. I sostenitori di Trump usano il nostro stesso linguaggio e questo ovviamente non aiuta. Questo è un problema interno all'alleanza progressista: abbiamo sempre avuto una corrente socialdemocratica e una più moderata. Tuttavia, per fare opposizione a Trump stiamo tutti remando dalla stessa parte. Dopo il dibattito presidenziale Bernie Sanders non ha criticato Biden, nonostante fosse in disaccordo su molti argomenti. Con un'amministrazione democratica sarebbe più facile denunciare gli eccessi del progressismo". Buruma ha vissuto in tre continenti: è nato in Olanda da una madre inglese, si è formato in Asia diventando un esperto di culture orientali e ora vive in America. "Essendo nato alla fine del 1951 sono stato fortunato a crescere in occidente e ad avere beneficiato dell'ordine globale creato dall'America. Ma tutto cid sta diventando obsoleto, e potrà avere delle conseguenze imprevedibili. Non è giusto che gli europei e i giapponesi continuino a fare affidamento sulla protezione degli Stati Uniti. Questo è un retaggio della guerra fredda che però ha fatto il suo tempo. Qualcosa doveva cambiare nell'ordine globale costruito dagli angloamericani dopo la guerra e Trump ha solamente accelerato questo cambiamento. Ogni transizione ha i suoi vantaggi e svantaggi. Il trumpismo ha costretto gli europei e i giapponesi a essere più indipendenti e questo è sicuramente un fatto positivo". Questo processo continuerà anche sotto un'eventuale presidenza Biden? "Certamente, anche se sarà un cambiamento più graduale e cavalleresco. Alcune tendenze attuali, come le tensioni crescenti con la Cina, continueranno anche sotto un'amministrazione democratica. Non si tornerà all'epoca obamiana".

Per inviare al Foglio la propria opinione, telefonare: 06/ 5890901, oppure ciccare sulla e-mail sottostante


lettere@ilfoglio.it

Condividi sui social network:



Se ritieni questa pagina importante, mandala a tutti i tuoi amici cliccando qui

www.jerusalemonline.com
SCRIVI A IC RISPONDE DEBORAH FAIT