Riprendiamo dalla REPUBBLICA di oggi, 02/10/2020, a pag. 1-2, con il titolo 'Italia insieme agli Usa contro gli atti predatori del regime cinese' l'intervista del direttore Maurizio Molinari a Mike Pompeo.
A destra: Mike Pompeo
Riprendiamo le righe che seguono dalla VERITA' di oggi (dall'articolo a pag. 3 di Lorenzo Bertocchi): "I titolisti di Avvenire e quelli del Manifesto forse ieri si sono consultati su come aprire le prime pagine dei loro giornali, perché il quotidiano cattolico e quello comunista hanno fatto riferimento agli Stati Uniti che furono e che non sono più. Quasi in stereofonia. Il risultato è un ircocervo catto-comunista che va dal «Non si Usa più» del quotidiano dei vescovi, che sottolineano il niet incassato dal segretario di Stato Mike Pompeo dal governo giallorosso (visto solo da loro) e dal Vaticano".
Avvenire e Manifesto sono così uniti nell'odio contro Donald Trump e gli Stati Uniti in generale, in nome del terzomondismo a tutti i costi. E non importa se ci si deve schierare perfino con la dittatura cinese o con altri regimi tra i più oppressivi al mondo.
Ecco l'intervista:
Maurizio Molinari
«Abbiamo una forte intesa con l’Italia sulla risposta alla sfida cinese». Il Segretario di Stato Mike Pompeo è appena uscito dall’incontro in Vaticano con il cardinale Parolin e sceglie di consegnare in esclusiva a “Repubblica” le valutazioni maturate durante la sua missione romana che ha avuto per tema la competizione strategica con Pechino. Pompeo, 56 anni, è il più stretto consigliere del presidente Trump sui temi della sicurezza e si comporta come tale: non abbassa mai lo guardo dall’interlocutore, ogni parola è misurata, conosce a menadito la mappa delle crisi ed ha bene in mente come tutelare l’interesse dell’America d’intesa con gli alleati. I messaggi che ci consegna sono cristallini: in cima all’agenda globale c’è la sfida cinese e su questo l’intesa con il governo Conte è salda; con il Vaticano nonostante i disaccordi ed il mancato incontro con il Papa «c’è una differenza solo di approccio e non di obiettivo con Pechino»; gli Accordi di Abramo in Medio Oriente «devono essere sostenuti dall’Europa» ed «aspettano i palestinesi»; in Libia «Russia e Turchia devono fare un passo indietro». E le basi italiane accoglieranno presto almeno parte delle truppe Usa in uscita dalla Germania «perché la Nato è diventata più forte».
Siamo a poco più di un mese dall’Election Day e da ciò che afferma traspare anche un bilancio della politica di sicurezza della presidenza Trump. Segretario, lei ha detto di essere pronto ad «unire le forze con l’Unione Europea» contro la Cina: perché la considerate una minaccia e che cosa si può fare per frenarla? «Conosciamo il pericolo portato dai regimi autoritari, l’Europa sa quali minacce posso venire dalle iniziative dei comunisti ed ora stiamo osservando con attenzione le loro azioni quando si manifestano. Siamo concentrati su Huawei ma, più in generale, i loro investimenti non sono privati perché vengono sovvenzionati dallo Stato. Non sono dunque transazioni trasparenti, libere e commerciali come tante altre nel mondo bensì vengono eseguite a beneficio esclusivo del loro apparato di sicurezza. Sono azioni predatorie che nessuna nazione deve, può consentire. C’è il partito comunista cinese all’origine di questi rischi e minacce. Per questo Europa e Stati Uniti devono unire gli sforzi: al fine di impedirgli di avere successo in ciò che stanno provando a realizzare».
La Cina sta tentando di operare anche in Italia? «Il mondo intero era addormentato davanti alla minaccia cinese, inclusi gli Stati Uniti. È stato l’intervento del presidente Donald Trump a far aprire gli occhi a tanti. Ora prendiamo questa minaccia molto seriamente e lo stesso vale per l’Europa. Il governo italiano inizia adesso a vedere con chiarezza quali sono i rischi associati agli investimenti provenienti dal partito comunista cinese».
In quali settori dell’economia italiana gli interventi cinesi sono più aggressivi? «Si tratta del sistema di telecomunicazioni, della gestione dei dati e delle infrastrutture più tradizionali come strade, ponti e soprattutto porti marittimi, verso i quali i cinesi sono molto attivi. Si presentano con ingenti fondi sussidiati dal capitalismo di Stato rendendo molto difficile per le aziende europee competere per appalti e commesse sul piano finanziario. Si pone così un grave rischio per la sicurezza nazionale che i governi europei, incluso quello italiano, devono prendere molto seriamente quando si trovano davanti a simili offerte da parte cinese».
Come giudica il comportamento del governo Conte davanti a tali iniziative della Cina? «Stanno dimostrando molta serietà e lo apprezziamo. Ma non mi sorprende perché con l’Italia condividiamo gli stessi valori, comprendiamo i rischi che vengono dall’avere relazioni con i regimi autoritari impegnati in attività predatorie. Sono rassicurato dalle iniziative adottate dal presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, e dal suo ministro degli Esteri davanti alle mosse compiute dal partito comunista cinese in Italia».
E in questo scenario di competizione strategica fra l’Occidente e la Cina, quale è la posizione in cui si trova il Vaticano dove lei ha appena incontrato il Segretario di Stato, Pietro Parolin? «Il Vaticano è con noi perché condivide la nostra rabbia nei confronti delle violazioni dei diritti umani da parte del regime cinese. Si tratta di veri e propri atti contro la dignità dell’uomo. Ma abbiamo differenze nell’approccio ovvero su come sia meglio affrontare la sfida delle relazioni con Pechino. La Santa Sede è un testimone morale del mondo, con un enorme potere ed un’enorme capacità di influenzare: per questo gli ho sottolineato l’urgenza di adoperare tale potere per chiarire alla Cina che queste attività sono inaccettabili. Stiamo parlando delle più gravi violazioni commesse contro la libertà di religione. Quando ho parlato all’arcivescovo Paul Gallagher e al cardinale Pietro Parolin mi sono reso conto di quanto tengono a questi valori, al rispetto della libertà religiosa. Ci tengono perché tocca al cuore chi sono: come fedeli, cattolici e cristiani. Gli chiediamo di continuare ad usare la loro voce per migliorare la vita di milioni di persone che vivono in Cina».
Eppure l’incontro fra lei e Papa Francesco non è avvenuto e le polemiche su Pechino sono state pubbliche. Crede davvero che Stati Uniti e Vaticano abbiano lo stesso approccio alla libertà di religione in Cina? «Noi e la Santa Sede abbiamo lo stesso obiettivo ma con approcci differenti».
A Washington sono stati appena firmati gli Accordi di Abramo sulla pace fra Israele, Emirati Arabi Uniti e Bahrein: che ruolo può svolgere l’Europa in tale scenario? «Si tratta di un’intesa storica. Un’opportunità enorme per continuare ad espandere l’area di stabilità e pace in Medio Oriente. I leader degli Emirati Arabi Uniti e del Bahrein hanno compiuto un passo nobile riconoscendo l’esistenza di Israele. Si è trattato di scelte sovrane, indipendenti, a cui i loro Paesi erano già pronti. Altre nazioni si uniranno agli Accordi di Abramo e credo che i leader europei possono sostenere attivamente questo processo. Possono andare nei Paesi della regione e affermare la necessità di riconoscere l’esistenza di Israele perché si tratta di una decisione dovuta al buon senso ed alla realtà storica. Israele è destinato ad esistere, ha il diritto di esistere e i Paesi della regione hanno ogni interesse a sviluppare con Israele legami e interessi: dalla diplomazia ai commerci fino alla sicurezza. Credo che i leader europei possono svolgere un ruolo strategico, fondamentale, per assistere all’espansione di questo spirito di libertà che consente anche di arginare e respingere la Repubblica islamica dell’Iran che continua ad essere la maggiore forza di destabilizzazione nell’intera regione del Medio Oriente».
Perché l’Europa dovrebbe farlo, che cosa rende gli Accordi di Abramo strategici? «In precedenza la teoria era che fino a quando il problema palestinese non fosse stato risolto nulla di buono sarebbe potuto avvenire in Medio Oriente. Vi sarebbero stati solo fuoco e fiamme. Ad esempio, spostare l’ambasciata americana a Gerusalemme avrebbe innescato la Terza Guerra Mondiale. Il presidente Trump ha dimostrato che tutto ciò era profondamente errato perché si può rispettare il popolo palestinese ed al contempo creare un nuovo sistema di sicurezza e stabilità in Medio Oriente capace di giovare a tutti, palestinesi inclusi. Speriamo che i leader del popolo palestinese si uniranno a noi, accettando di far parte di questo processo e iniziando a impegnarsi in seri negoziati con Israele. Non ci si può limitare a tirare bottiglie molotov, bisogna impegnarsi nella diplomazia. È così che si sviluppano relazioni pacifiche».
In realtà l’Autorità nazionale palestinese ha rigettato gli Accordi di Abramo. Di cosa hanno bisogno i palestinesi a suo avviso per iniziare a trattare: una migliore offerta di pace o una nuova leadership? «Hanno bisogno di impegnarsi a dialogare».
Veniamo alla Libia. Si tratta di una nazione in preda alla guerra civile dove Turchia e Russia si sono insediate, militarmente, puntando a dividersi in territorio in sfere di influenza. Quanto siete preoccupati da un simile scenario nel Mediterraneo Centrale, proprio davanti alle coste della Sicilia? «La situazione è un po’ di più complicata. Da anni gli Stati Uniti chiedono una soluzione mediata dalle Nazioni Unite al fine di creare una situazione sul terreno tale da permettere al popolo libico di affrontare ogni sfida. Crediamo fermamente che l’intervento di terze parti in Libia porti solo ad aggravare la situazione: che si tratti della Russia o della Turchia fa lo stesso. Devono fare un passo indietro e consentire ai libici di risolvere la loro crisi. Gli Stati Uniti si sono uniti all’Europa nel processo iniziato a Berlino al fine di portare le parti libiche ad incontrarsi e definire la cornice per una soluzione pacifica. Vogliamo che i leader libici si impegnino seriamente per dare vita ad accordi capaci di garantire stabilità nel lungo periodo a tutta la regione. Per questo speriamo che altre nazioni impegnate in attività militari in Libia cessino tali comportamenti. Non abbiamo bisogno di altre armi. Fra l’altro portare altre armi in Libia è una violazione delle risoluzioni dell’Onu. È una nazione zeppa di armi, non ne servono altre: ciò che serve è invece un dialogo costruttivo fra tutti gli attori libici».
Il ridispiegamento delle truppe americane dalla Germania porterà ad aumentare la vostra presenza militare, uomini ed aerei, nel nostro Paese e, in particolare, ciò significherà ampliare la base di Aviano? «Sì, è vero. Il nostro impegno militare in Europa è aumentato molto in questi anni. La Nato è assai più forte oggi di quanto non fosse il 20 gennaio 2017, quando Trump si insediò alla Casa Bianca. I numeri sono innegabili. Oggi i partner alleati spendono fra 350 e 400 milioni di dollari in più per la Nato. Sono risorse che rafforzano la sicurezza collettiva. E la Nato ha iniziato ad affrontare anche la minaccia cinese - dal cyber allo spazio - che non esisteva quando nel 1949 fu fondata».
L’intervista è finita e Pompeo si alza alla volta del prossimo incontro, alla Comunità di Sant’Egidio. Ma prima di salutare tiene a ribadire la solidità della convergenza politica riscontrata con il nostro Paese a dispetto delle incertezze del recente passato: «Abbiamo una antica e solida relazione con l’Italia, vi sono decine di migliaia di americani come me con le radici in questo Paese che ancora amiamo perché abbiamo lottato assieme, abbiamo gli stessi valori, abbiamo costruito assieme le nostre economie e crediamo che la partnership fra i nostri Paesi continuerà a crescere, c’è tutto questo alla base dell’ottima discussione avuta con il premier Conte e il ministro Luigi Di Maio». Come dire, l’intesa per fronteggiare la sfida globale cinese ha radici profonde.
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