Riprendiamo da FORMICHE.net, la video-intervista di Roberto Arditti a Fiamma Nirenstein dal titolo: "A che punto siamo in Medio Oriente. Intervista a Fiamma Nirenstein".
(Video a cura di Giorgio Pavoncello)
Intervista a tutto campo a Fiamma Nirenstein di Roberto Arditti, a partire dal suo ultimo libro: "La guerra antisemita contro l'Occidente". Le radici dell'antisemitismo e perché l'aggressione contro il popolo ebraico in Israele è un attacco a tutto campo contro la civiltà occidentale. E una sconfitta di Israele segnerebbe anche la nostra fine.
Testata: Corriere della Sera Data: 27 luglio 2002 Pagina: 1 Autore: un giornalista Titolo: «Agguato palestinese: morti quattro coloni ebrei»
La notizia che un commando terrorista palestinese ha ucciso 4 israeliani, fra i quali un bimbo, in un duplice attacco presso un insediamento vicino a Hebron è riportata il 27.7 dal Corriere della Sera in prima pagina con il seguente titolo:
Agguato palestinese: morti 4 coloni ebrei.
E di nuovo nella sezione esteri a pagina 13: "Israele, agguato sulla strada dei coloni"
Non vorremmo ripeterci sottolineando ancora una volta la faziosità di certi termini, eppure Cremonesi, il giornalista che firma l’articolo, continua imperterrito a definire "coloni ebrei" quelli che in realtà sono semplicemente gli abitanti israeliani degli insediamenti.
Perché dunque utilizzare sempre questa terminologia? Sono forse israeliani di serie "B"?
La loro morte è meno importante e in qualche modo giustificata?
Vorremmo anche focalizzare l’attenzione sulle parole scelte dal giornalista per riportare la notizia dell’azione militare israeliana a Gaza (azione intrapresa per eliminare un pericoloso capo di Hamas).
"Strage a Gaza, quindici persone morte fra cui 9 bambini" titolava Il Corriere della Sera alcuni giorni fa; oggi invece, la notizia dell’assassinio di un bimbo e del ferimento di altri due non trova neppure un piccolo spazio nel titolo.
Puoi avere due mesi, due anni, o novant’anni ma rimani sempre un colono
Rileviamo inoltre che all’interno dell’articolo il termine colono è ripetuto almeno tre volte, mentre non si legge mai la parola "terrorista", opportunamente sostituita da"palestinesi" o al massimo "aggressori".
Un altro agguato ieri sera contro due auto di coloni ebrei in Cisgiordania.
L’attentato segue quello simile dell’altro ieri in cui è morto un altro colono nel Nord della Cisgiordania.
L’operazione dura pochi minuti. L’auto degli aggressori sembra venisse da Yatta. I palestinesi si piazzano al lato della strada con i mitra pronti e attendono. Quasi subito giunge la Mitsubishi di una famiglia della colonia di Psagot che avrebbe dovuto raggiungere un gruppo di amici nella vicina colonia di Carmel. A bordo ci sono i due genitori e 5 bambini. I due adulti muoiono sul colpo assieme ad un figlio.
I palestinesi fuggono verso Yatta.. Ma incrociano una Subaru guidata da un altro colono e sparano in corsa uccidendolo.
Infine a lato dell’articolo un conteggio aggiornato di vittime.
1.650 i palestinesi uccisi dall’esercito israeliano dall’inizio della seconda intifada;
576 gli israeliani morti in attentati kamikaze e altre azioni armate dei palestinesi in 22 mesi di intifada.
Riportare dei numeri senza corredarli di un commento significa fornire una informazione parziale che orienta in maniera faziosa il lettore.
Per consentire quindi ai lettori di informazionecorretta.com una visione più obiettiva sul problema delle vittime nel conflitto israelo-palestinese riportiamo integralmente un articolo di Fiamma Nirenstein, apparso su "La Stampa" del 30 giugno 2002
dal titolo "La verità sui numeri del conflitto".
Il conflitto israelo-palestinese è molto dispari, si ripete spesso, quanto a numero dei caduti: 1450 palestinesi e 525 israeliani, fino ad oggi. Da questi numeri si ricava l’impressione di un Davide palestinese contro un Golia israeliano dal grilletto facile. Ma uno degli istituti specializzati più stimati da tutti gli esperti di terrorismo, l’Istituto Internazionale per la Politica Antiterrorista (Ict), ha fornito ieri una interpretazione delle cifre e del loro significato, che, anche se non rovescia, modifica drammaticamente il loro significato. Come ci riferisce Ely Karmon, professore e ricercatore presso l’Ict, i fatti stanno così: fra i caduti palestinesi, più del 50% erano direttamente coinvolti in azioni di combattimento, e con questo, specifica Karmon, non si intendono ragazzi con una pietra in mano e neppure con una rudimentale bottiglia molotov, ma combattenti morti in azioni terroristiche , in agguati, in sparatorie. In senso molto generale, li potremmo vedere come combattenti di un largo esercito palestinese. Gli israeliani combattenti uccisi, ovvero soldati o poliziotti in azione, sono invece, relativamente ai loro civili, molto meno, ovvero il 25%. Questo rende la differenza fra i civili periti nell’intifada pari al 25%.
Un altro dato molto importante è quello relativo al genere femminile: le donne palestinesi di ogni età uccise nel conflitto sono la metà delle donne israeliane; meno del 5% degli uccisi palestinesi sono donne. Fra i non combattenti, i morti fra le persone sopra i 40 anni sono più che doppi rispetto ai morti palestinesi nella medesima fascia di età. Questi dati fanno vedere che la popolazione civile israeliana è stata più colpita, in quanto civile, di quella palestinese. Questo è un evidente risultato dell’uso del terrorismo suicida, che colpisce intenzionalmente la folla indiscriminata. Il numero dei bambini uccisi è più o meno identico: il terrorismo palestinese non ha mai preso di mira un asilo o una scuola. Ma nella fascia giovanile troviamo un alto numero di giovani palestinesi, anche fra i non combattenti: in definitiva, mentre gli israeliani appartengono a tutte le fasce di età perché il terrorismo colpisce casualmente, i caduti palestinesi sono invece concentrati nella fascia fra i 13 e i 30 anni.
Questi risultati, ricavati da un lavoro lungo e paziente, racconta il professor Don Radlauer, coordinatore della ricerca, provengono da fonti di stampa e da documenti forniti da organizzazioni umanitarie del campo palestinese (per gli israeliani è stato molto più semplice data la disponibilità di documenti incontrovertibili). E dimostrano una tragica tendenza: la partecipazione dei giovani palestinesi a situazioni di scontro in cui si espongono fino alla morte. Perché questo accade? La risposta dei ricercatori è molto angosciosa: la società palestinese indottrina i giovani ripetendo alla tv e in ogni occasione la sua approvazione per l’idea del martirio. La religione, il cui messaggio viene diffuso da voci molto estreme, alimenta questa tendenza. Si crea così una cultura in cui si glorifica la scelta di morire: i giovani palestinesi si sentono motivati ad affrontare le forze israeliane cercando la morte. Naturalmente, dicono i ricercatori, le maggiori responsabilità ricadono sui leader che promuovono questa cultura.
In definitiva, dicono gli esperti dell’Ict, quello che la ricerca mostra chiaramente è che ciò che ripetono senza sosta i portavoce palestinesi, ovvero che gli israeliani attaccano deliberatamente la loro popolazione civile, è errata. E che gran parte delle perdite hanno cause ideologiche prima ancora che militari.
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