Sul banco dei testimoni, i sopravvissuti ai sanguinosi attentati del gennaio del 2015 sono venuti a raccontare cosa hanno visto, cosa hanno vissuto, ciò che hanno subìto. Altri ancora parlano a nome di chi non c'è più. E’ che ci sono voluti cinque anni per portare finalmente davanti ai tribunali gli assassini ancora vivi e in carcere, i loro mandanti e i loro complici. Quelli cioè che non sono riusciti a sfuggire alla rete, come chi invece se ne sta tranquillo a crogiolarsi in Medio Oriente. In fin dei conti, questo processo a lungo atteso getta una luce cruda sulla dissonanza tra le vittime e le loro famiglie e degli imputati spietati, perfettamente consapevoli di non rischiare la propria vita. Insomma, è difficile vederci un atto di deterrenza, per quanto tardivo possa essere. Inoltre, non sembra minimamente impressionare i terroristi di oggi che aspirano a emulare i precedenti. “Secondo quanto riferito, l'organizzazione jihadista al-Qaeda ha reso noto che il raid omicida del gennaio del 2015 non è stato un episodio occasionale”, così mercoledì 23 settembre scrive Le Figaro, che riporta una storia edificante resa pubblica da Le Point. “La Direttrice delle Risorse umane di Charlie Hebdo, Marika Bret, ha dovuto lasciare in fretta e furia la propria abitazione a causa di un possibile attacco. Secondo il quotidiano, citando Le Point, lei aveva avuto solo dieci minuti per organizzarsi. La minaccia sarebbe arrivata da Al Qaeda, il cui ramo yemenita ha invitato “i musulmani in Francia, in Europa e fuori" a pugnalare i membri di Charlie. Ma state tranquilli, martedì sera l’Ufficio del Procuratore nazionale antiterrorismo non era ancora in stato di allerta: lo sarebbe stato, secondo Le Figaro “ se fosse stato in possesso di elementi molto concreti per aprire un'indagine; martedì sera chiedeva informazioni.”
Lasciamo pure che gli esperti proseguano le loro indagini e concentriamoci sui fatti. Quasi cinque anni dopo il massacro che ha decapitato l’équipe di Charlie Hebdo, perpetrato dai fratelli Kouachi, i sopravvissuti del giornale sono ancora soggetti a “una protezione molto pesante.” Secondo uno specialista citato da Le Figaro: "I responsabili del servizio di protezione alle persone hanno messo in atto molti mezzi per tenerli al riparo e impedire che ci siano altri spargimenti di sangue.” Protezione evidentemente insufficiente dal momento che Madame Bret è stata costretta a lasciare il suo appartamento in tutta fretta e teme di non poterci più tornare. E’strana questa situazione, in cui i servizi di sicurezza si trovano nell'impossibilità di garantire l'incolumità di una cittadina francese in pericolo in quanto alle dipendenze di un giornale satirico che, sebbene colpito quasi a morte, persiste ostinatamente nel difendere la libertà di espressione. Di ancora più strano c’è che è nella rubrica “società” che troviamo quello che Le Figaro qualifica come “episodio inquietante.” Tuttavia, su iniziativa di Riss, il Direttore del settimanale “Charlie Hebdo”, rappresentanti dei giornali francesi si sono incontrati per discutere delle minacce alla libertà di espressione. Più di un centinaio di media hanno firmato e pubblicato una “lettera aperta ai nostri concittadini”. Non è sicuro che Marika Bret ne tragga grande conforto.
Michelle Mazelscrittrice israeliana nata in Francia. Ha vissuto otto anni al Cairo quando il marito era Ambasciatore d’Israele in Egitto. Profonda conoscitrice del Medio Oriente, ha scritto “La Prostituée de Jericho”, “Le Kabyle de Jérusalem” non ancora tradotti in italiano. E' in uscita il nuovo volume della trilogia/spionaggio: “Le Cheikh de Hébron".