Germania, neonazisti in casa Commento di Roberto Giardina
Testata: La Nazione Data: 17 settembre 2020 Pagina: 2 Autore: Roberto Giardina Titolo: «Neonazi in casa. Brusco risveglio della Germania»
Riprendiamo da NAZIONE/RESTO del CARLINO/IL GIORNO di oggi 17/09/2020, a pag.2 con il titolo "Neonazi in casa. Brusco risveglio della Germania" il commento di Roberto Giardina.
Roberto Giardina
Saskia Esken
Tutti i poliziotti sono razzisti, ha denunciato Frau Saskia Esken, la leader dell'Spd. A Berlino, la giunta rosso rosso verde ha approvato una legge che permette a ogni cittadino di denunciare l'agente che lo arresta per razzismo, senza prove. Tocca a chi indossa la divisa provare il contrario. Una norma anticostituzionale. Non fermeremo più gli spacciatori arabi, hanno protestato i Polizisten. E il sindaco ha fatto in parte marcia indietro. Condannare per principio chi indossa la divisa è un errore, ma dimostra che il problema esiste, non solo in Germania anche in Italia. Non tutti quelli che si arruolano sono nostalgici, di Hitler o Mussolini. Ma senza dover rievocare le repressioni violente e inaccettabili al G8 di Genova (luglio 2001), da noi negli ultimi tempi i casi sospetti sono in aumento, persino in un'arma scelta come quella dei carabinieri. Più grave il fenomeno in Germania, perché la presa di coscienza del passato è stata più profonda e continua che da noi, nonostante quanto si sospetta. Nel cuore di Berlino, il monumento alla Shoah è vasto quanto due campi di calcio. Impossibile non notarlo, e non chiedersi il perché. Eppure, appena ieri in Nord Renania Westfalia, 29 agenti sono stati scoperti a scambiarsi messaggi neonazi. «Non sono casi isolati, il problema è serio», riconosce il ministro degli Interni della regione. In tutto il paese, sotto inchiesta sono 500 agenti. Come mai? La divisa, dell'esercito o della polizia, sostengono i sociologi, in realtà non ha più prestigio. Si arruola, chi non ha scelta. Non tutti, ma sempre di più. Si sentono falliti, e gridare Heil Hitler, li fa sentire forti. O picchiare un immigrato, sia colpevole o no. È una tesi consolatoria, forse sbagliata. Come convincere i giovani e le ragazze che nel XXI secolo servire lo Stato in divisa è un onore e non un ripiego?
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