Riprendiamo dalla REPUBBLICA di oggi, 16/09/2020, a pag.10, con il titolo "Israele firma la pace con Emirati e Bahrein Trump: ora altri Paesi", il commento di Federico Rampini; a pag. 11, con il titolo "Eli Cohen: 'Uniti contro l’Iran è soltanto l’inizio' ", l'intervista di Sharon Nizza a Eli Cohen.
Ecco gli articoli:
La vignetta di Dry Bones: pace in spiaggia in Medio Oriente
Federico Rampini: "Israele firma la pace con Emirati e Bahrein Trump: ora altri Paesi"
Federico Rampini
«È un giorno importante per la pace nel mondo», dice Donald Trump. «Abbiamo scelto la pace, si apre un futuro diverso per generazioni di arabi», gli fanno eco i ministri degli Emirati e del Bahrein. Il premier Benjamin Netanyahu pronuncia in arabo “Salam Aleikum”, il saluto di pace, e ricorda il fratello morto per salvare gli ostaggi israeliani a Entebbe. Sono le 13.30 a Washington, quando si chiude la cerimonia solenne della firma degli Accordi Abramo, così chiamati in omaggio alle religioni abramitiche dei firmatari. Si aprono i rapporti diplomatici fra lo Stato d’Israele, gli Emirati arabi uniti, il Bahrein. Artefice di questa svolta storica, Trump riceve i protagonisti dentro una sala densa di simboli: la Lee Dining Room della Blair House (foresteria per gli ospiti d’onore del presidente) fu quella dove il suo predecessore Harry Truman elaborò il Piano Marshall per la ricostruzione dell’Europa dopo la seconda guerra mondiale. Proprio allora nasceva lo Stato d’Israele, isolato e accerchiato dall’ostilità del mondo arabo. La firma degli accordi poi avviene davanti alla Casa Bianca, su un podio montato davanti alla scalinata nobile, con affaccio sul giardino. L’eccezionalità dell’evento è chiara: Emirati e Bahrein sono solo il terzo e il quarto paese arabo a normalizzare le relazioni con Israele, dopo l’Egitto nel 1978 e la Giordania nel 1994. Finora c’era stato un ostacolo insormontabile, i paesi arabi facevano blocco ponendo come condizione un accordo preventivo coi palestinesi. Ora quella condizione è sparita. Lo sceicco Abdullah Bin Zayed, ministro degli Esteri degli Emirati, ringrazia Netanyahu per aver «fermato l’annessione dei territori palestinesi occupati», questa è la «scelta di pace » che è stata sufficiente. Trump è trionfante, ringrazia il genero Jared Kushner per il ruolo svolto nella marcia verso questo accordo. «Per generazioni — dice Trump — le bugie su Israele nemico degli arabi hanno alimentato terrore e sofferenze. Ora si apre una nuova epoca, di sicurezza pace e prosperità». La parola chiave è prosperità. Gli Accordi Abramo non sono tecnicamente una pace visto che i tre paesi non erano in guerra; però creano opportunità di business, cooperazione finanziaria e tecnologica, oltre alla normalizzazione di voli e turismo. Tanto più se si avvera la previsione degli americani: dietro i “piccoli alleati del Golfo” ben presto sarà l’Arabia saudita a compiere lo stesso passo. Può aprirsi una gara in Medio Oriente e Nordafrica, a stabilire relazioni con un’economia israeliana che è la Silicon Valley del Mediterraneo. Sul versante geostrategico i grandi perdenti sono i palestinesi e l’Iran, isolati da questo nuovo asse che unisce Israele alle monarchie sunnite del Golfo. Serrano i ranghi i palestinesi moderati di Fatah e i radicali di Hamas, uniti nell’accusare Emirati e Bahrein di aver «tradito il consenso arabo». Il presidente palestinese Abu Mazen dichiara: «Non ci sarà pace senza la fine dell’occupazione israeliana». Ma ormai la maggioranza del mondo arabo ha scelto un’altra strada. Trump è ottimista sulla pace finale: «I palestinesi saranno costretti a unirsi anche loro». Il malumore è evidente invece in Usa da parte dell’opposizione democratica, a 50 giorni dal voto molti denunciano l’accordo come «un regalo di Netanyahu al suo amico per le elezioni». Il successo d’immagine di Trump è innegabile, l’impatto sugli equilibri strategici in Medio Oriente può essere profondo e duraturo, ma non è detto che tutto ciò si traduca in un dividendo elettorale: con l’eccezione di grandi guerre, la politica estera raramente sposta voti. Restano aspetti controversi, tra cui una fornitura di cacciabombardieri F-35 agli Emirati, a cui Netanyahu è contrario. Un alto diplomatico israeliano spiega: gli Emirati sono troppo vicini all’Iran, che può trovare il modo di carpire i segreti di quei jet militari. Trump si è detto favorevole, «anche perché significa creare posti di lavoro americani». Ma è un dettaglio in uno scenario in grande movimento. Soprattutto se si conferma la previsione di Trump sulla prossima normalizzazione Arabia saudita e Israele, questa Amministrazione coglie i frutti di un lavoro strategico di quasi quattro anni. È la costruzione di un ampio fronte filo-americano e filo-israeliano nel mondo arabo, che rende ancora più duro l’isolamento inflitto alla potenza sciita dell’Iran. Nella stessa giornata festosa di ieri arrivava la notizia che Teheran progetta di assassinare l’ambasciatore Usa in Sudafrica, come rappresaglia per l’eliminazione di Soleimani. Pronta la reazione di Trump: «La nostra ri sposta sarebbe mille volte più forte».
Sharon Nizza: "Eli Cohen: 'Uniti contro l’Iran è soltanto l’inizio' "
Sharon Nizza
Eli Cohen
«Oggi è stato soltanto l’inizio». Eli Cohen, ministro dell’Intelligence per il Likud, non nasconde l’emozione. Nonostante abbia partecipato a qualche viaggio segreto di Netanyahu in giro per il Medio Oriente, la cerimonia per la firma dell’Accordo di Abramo l’ha seguita dal suo ufficio, così come il resto del governo.
Come vive questo momento rispetto agli accordi passati con Egitto e Giordania? «È un momento storico. Con Emirati e Bahrein non c’era uno stato di guerra. Ma condividiamo la preoccupazione per un nemico comune, l’Iran, lo Stato che più contribuisce all’instabilità regionale, che finanzia Hezbollah, portando al collasso il Libano. Non abbiamo nulla contro il popolo iraniano, ma contro un regime che invoca continuamente la nostra distruzione».
La prossimità dei Paesi del Golfo all’Iran costituisce una potenziale minaccia per i viaggiatori israeliani? In Bahrein, dove c’è maggioranza sciita, c’è opposizione all’accordo. «Parliamo di stati molto sicuri. Collaboreremo con i nostri nuovi alleati per preservare la sicurezza di tutti i cittadini e rafforzare le alleanze strategiche e la cooperazione. Sarà una pace calorosa, ci sarà interazione, cadranno delle barriere».
E guardando vicino: come pensa Israele di procedere con i palestinesi? «I palestinesi hanno rifiutato ogni accordo. Dopo decenni, i Paesi arabi hanno deciso di pensare ai propri interessi, strategici ed economici. Spero che questo percorso possa portare a una svolta anche con i palestinesi. Ci aspettiamo che abbandonino l’incitamento e vengano al tavolo delle trattative senza precondizioni, guardando al futuro».
La vendita degli F35 agli Eau da parte degli Usa è stato un prezzo da pagare? «Non è una notizia confermata. Quando l’accordo passerà al vaglio del governo e del Parlamento, tutte le questioni verranno affrontate. Gli Usa, per legge, sono tenuti a preservare la nostra superiorità militare nell’area. Non ho dubbi che questo equilibrio continuerà».
C’era l’ambasciatore dell’Oman alla cerimonia... Il prossimo Stato? «Il terreno è molto fertile con diversi Stati, tra cui Oman e Sudan».
E l’Arabia Saudita? «Ha ben chiaro che il nemico è l’Iran, che la tecnologia avanzata è qui, sa chi è per la stabilità regionale. È un percorso, ma sono fiducioso che arriveremo a un accordo anche con Riad».
Con un cambio alla Casa Bianca, la luna di miele con il mondo arabo continuerebbe? «L’amministrazione Trump ha dimostrato che, se sei forte, incassi accordi di pace, crei alleanze. In Medio Oriente, se mostri debolezza, se pieghi il capo all’estremismo, non ottieni nulla. Auspichiamo che ogni amministrazione Usa continui con questa politica».
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