Le prefiche
Commento di Michelle Mazel
(Traduzione di Yehudit Weisz)
La scenografia è allestita. I documenti sono pronti. Oggi, 15 settembre 2020, segna la fine di un lungo periodo di belligeranza, se non reale, almeno formale: gli Emirati Arabi Uniti e il Regno del Bahrain normalizzeranno i loro rapporti con lo Stato ebraico. In programma scambio di ambasciatori e cooperazione su questioni strategiche, scientifiche, economiche e finanziarie per il bene comune delle rispettive popolazioni. Mentre sta per alzarsi il sipario su una rappresentazione spettacolare, che sarà seguita da milioni di telespettatori in tempo reale, poi ritrasmessa di continuo sui canali televisivi di tutto il mondo, alcuni preferiranno ascoltare i lamenti del coro delle prefiche. Alla vista dei rappresentanti degli Emirati, del Bahrein e di Israele riuniti alla Casa Bianca, sotto l'egida del Presidente Trump per finalizzare gli accordi di pace, i palestinesi - o meglio i loro leader, si torceranno ancora una volta le mani gemendo, lamentandosi del tradimento dei loro fratelli di religione. Hezbollah, quel ramo libanese degli ayatollah che ha portato il Libano alla sua ( rovina, digrignerà i denti e prometterà vendetta, mentre Hamas, stizzito, lancerà minacce che come ben sa saranno inutili. Eppure, le prefiche di ogni schieramento sanno che il gioco è finito. Gli insulti e le imprecazioni che hanno seguito l'annuncio della normalizzazione tra Israele e gli Emirati non hanno impedito al Bahrein di seguire la stessa strada, ci dicono gli esperti incoraggiati dal loro potente vicino saudita che, se per il momento non aderisce alla pace regionale emergente, ha autorizzato gli aerei israeliani a sorvolare il suo territorio.
Il sultano dell'Oman ha elogiato l'accordo per tastare l'acqua prima di tuffarsi a sua volta. Il Sudan sta studiando la questione. Il Marocco sarebbe pronto ad accettare voli diretti da Israele per accogliere migliaia, decine di migliaia dei suoi ex cittadini che vivono nello Stato ebraico e che desiderano rivisitare i paesaggi della loro infanzia. L'Egitto si chiede se non sia il momento di riscaldare i rapporti con il suo vicino dopo quattro decenni di una pace troppo fredda per apportare i benefici economici di cui il suo Paese ha così disperatamente bisogno. Dall’altro lato, naturalmente, ci sono le dichiarazioni bellicose di due Paesi che sono completamente contrapposti: la Turchia e l’Iran, uno che cerca di assoggettare la regione a un nuovo califfato sunnita e l'altro di integrare il Medio Oriente in una mezzaluna sciita sotto il suo governo. Entrambi valutano sfavorevolmente l’insorgenza di un blocco che come tutti sanno, è nato dalla necessità di difendersi dalle loro ambizioni egemoniche. C'è anche un altro gruppo di prefiche, un po’ più discrete. Sono i Paesi dell'Unione europea, che vedono vanificarsi anni di sforzi per isolare Israele e incoraggiare l'intransigenza di Ramallah. Palestina prima di tutto, il loro grido di battaglia non è più nemmeno un sussurro. Molti non sono ancora pronti ad ammetterlo. Solo l'Ungheria ha annunciato che verrà all'evento per dare il suo appoggio. Quanto ai media, dopo anni di retorica anti-israeliana, si accontentano di riportare i fatti senza commenti. Alcuni evocano, senza però esprimerlo come un loro desiderio, un attacco di Teheran che potrebbe insanguinare la festa.
Michelle Mazel scrittrice israeliana nata in Francia. Ha vissuto otto anni al Cairo quando il marito era Ambasciatore d’Israele in Egitto. Profonda conoscitrice del Medio Oriente, ha scritto “La Prostituée de Jericho”, “Le Kabyle de Jérusalem” non ancora tradotti in italiano. E' in uscita il nuovo volume della trilogia/spionaggio: “Le Cheikh de Hébron".