Riprendiamo dalla REPUBBLICA di oggi, 13/09/2020, a pag. 12, con il titolo "Abu Zaida: 'È ora di normalizzare Abu Mazen e Hamas si decidano a cedere' ", l'intervista di Sharon Nizza a Abu Zaida, ex ministro dell'Anp.
Sharon Nizza
Sufian Abu Zaida
«Non entro a Gaza da quando è iniziato il coronavirus. Non posso vivere senza il mare». Sufian Abu Zaida osserva le onde dal lungomare di Tel Aviv, mentre parla del momento critico che sta affrontando la leadership palestinese. In passato più volte ministro dell’Anp, oggi fa parte dell’opposizione più agguerrita contro Abu Mazen: è uno dei punti di riferimento in Palestina di Mohammed Dahlan, l’ex uomo forte di Fatah a Gaza, la vera spina nel fianco di Abu Mazen, che lo espulse dal partito nel 2011. Dahlan da allora vive ad Abu Dhabi, dove è una voce ascoltata a palazzo. Anche Abu Zaida è stato cacciato da Fatah nel 2014. Hanno costituito la Corrente Democratico-Riformista di Fatah, non riconosciuta dal movimento.
Sorride alla domanda se Dahlan sia coinvolto - come sostengono le voci infuriate alla Muqata - nell’accordo Israele-Emirati che verrà firmato a Washington martedì insieme a quello con il Bahrein. «La vera domanda è perché esiste una normalizzazione halal (permessa) e un’altra haram (vietata). Se gli Emirati mandano un aereo a Tel Aviv con aiuti umanitari per i palestinesi, l’Anp lo rimanda indietro, mentre l’inviato del Qatar ogni mese si accorda con Israele per portare i soldi nella Striscia di Gaza ».
Ramallah dice che è una violazione del principio «non c’è normalizzazione senza uno Stato palestinese nei confini del ’67». «La normalizzazione l’abbiamo iniziata noi con Oslo, aprendo la strada agli accordi sottobanco tra Paesi arabi e Israele. Eau e Bahrein hanno deciso di giocare a carte scoperte».
La Lega Araba ha rifiutato di sostenere la risoluzione di condanna degli Emirati presentata dall’Anp. «Ogni Stato fa i propri interessi. Inserire la questione palestinese nell’accordo, sostenendo che gli Eau abbiano fermato l’annessione, è stato solo un pretesto».
Quanto sta accadendo influisce sulla questione della successione ad Abu Mazen? «Abu Mazen non è più legittimo. È stato eletto per 4 anni e ne sono passati 14. Dopo di lui ci devono essere almeno tre successori: Olp, Fatah e Anp. Basta con la concentrazione del potere».
Che probabilità ha Dahlan come candidato in esilio negli Emirati? «Le accuse infondate contro di lui l’hanno rafforzato, è l’unico ad avere sostegno popolare. I sondaggi gli danno tra il 7 e il 14% dei consensi, i membri dell’attuale establishment rasentano il 2%. E questo mentre sta all’estero ed è continuamente diffamato».
I palestinesi sono isolati? «Oggi ci sono tanti problemi nell’area che mettono in secondo piano la causa palestinese. In questi anni avremmo potuto fare dell’Anp un gioiello, basato sulla separazione dei poteri, sulla trasparenza. Avremmo potuto essere la consolazione per le sofferenze dell’occupazione. Invece siamo riusciti a fare peggio, ci siamo sparati l’un l’altro. Parliamo dell’iniziativa araba del 2002, ma siamo nel 2020! Pensiamo al rifiuto di Arafat di Camp David nel 2000: chi crede che oggi potremmo ottenere quanto ci hanno proposto allora?».
Che cosa si può fare in questa situazione? «Unità. Nel 2011 l’accordo del Cairo definiva tutto, basta implementarlo. Ma Abu Mazen e Hamas vogliono ricevere tutto senza rinunciare a nulla».
La settimana scorsa c’è stata la videoconferenza tra Abu Mazen da Ramallah e Haniyeh da Beirut ed è entrata a Gaza la ministra della Salute dell’Anp. Un cambio di rotta? «Non sarei così ottimista. La crisi del virus a Gaza è una priorità ora. Un accordo comporta elezioni. E i vertici dell’Anp non sono interessati ora a una gara tra più candidati».
Come sono vissute le sue posizioni? «Pago un prezzo. Ma nessuno mi toglierà la libertà di dire quello che penso».
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