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Avvenire Rassegna Stampa
12.09.2020 La storia del campione Amar'e Stoudemire
Commento di Adam Smulevich

Testata: Avvenire
Data: 12 settembre 2020
Pagina: 22
Autore: Adam Smulevich
Titolo: «Stoudemire con Bibbia e canestri trascina gli israeliani del Maccabi»
Riprendiamo da AVVENIRE di oggi, 12/09/2020, a pag. 22, con il titolo "Stoudemire con Bibbia e canestri trascina gli israeliani del Maccabi", il commento di Adam Smulevich.

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Adam Smulevich


Amar'e Stoudemire opens up on plans after the end of his basketball career  | TalkBasket.net
Amar'e Stoudemire

A quasi 38 anni Amar'e Stoudemire, uno dei più grandi cestisti del ventunesimo secolo, continua a sorprendere. Per sei volte All Star e per due volte nel miglior quintetto stagionale della Nba, il "lungo" originario di Lake Wales, Florida, ha da poco trascinato gli israeliani del Maccabi Tel Aviv al terzo titolo nazionale consecutivo (il 54esimo nella storia di questo glorioso club, più volte vincitore anche in Eurolega). Quando infiammava i palazzetti d'America era conosciuto come "Stat", acronimo che stava per "Standing Tall And Talented". Da qualche giorno, negli ambienti ebraico ortodossi, è per tutti non Amar'e e neanche Stat ma Yahoshafat Ben Avraham. Il nuovo nome che ha assunto da quando è stata ufficialmente annunciata la sua conversione all'ebraismo (l'ha fatto lui stesso, con un post su Instagram). Per raggiungere questo obiettivo l'ex stella di Phoenix Suns e New York Knicks ha dovuto non solo studiare giorno e notte, ma anche cambiare in modo radicale il proprio stile di vita. Adattandosi cioè ad agire nel pieno rispetto delle regole etico-comportamentali che questo popolo si trasmette da millenni. Dall'alimentazione kasher al rispetto delle solennità festive, dall'osservanza dello Shabbat a quella delle 613 "mitzvot", i precetti che scandiscono non solo la quotidianità ma l'intera esistenza ebraica. Per Amar'e/Yahoshafat un percorso iniziato due anni fa, anche se era da un po' che ci stava pensando. Almeno dal 2010, quando per la prima volta raccontò ai media di possibili origini ebraiche della madre. Sull'onda di quella suggestione Stoudemire scelse di recarsi una prima volta in visita a Gerusalemme. E poi di tornarci più volte, decidendo persino di investire nel basket locale (nel 2013 è a capo di una cordata che acquistala squadra capitolina del Beitar). Tra le nuove amicizie che nascono in quel periodo quella con l'allora Capo di Stato israeliano, il Premio Nobel per la pace Shimon Peres, grande appassionato di sport. Stoudemire non smette di fare quello che sa far meglio: andare e far andare gli altri a canestro. Ma comincia a interessarsi anche ad altro, di più profondo. Alla scoperta/riscoperta di quelle radici che sono poi la radice stessa dell'umanità. Legge, studia, si confronta con alcuni rabbini disposti ad appagare le sue molte curiosità. Resta affascinato da un mondo che non è più solo suggestione ma incontro reale e stimolante con temi vivi. Agli allenamenti alterna così ore trascorse sulla Torah, sul Talmud, sui commentari biblici. Solo allora matura una scelta più consapevole e determinata. In camera ha affrontato situazioni ad altissimo livello di pathos e adrenalina. Ma il momento più emozionante della sua vita, raccontano, è stato poco più di una settimana fa. Quando, cioè, si è presentato davanti al Beth Din, il tribunale rabbinico incaricato di valutare la sua candidatura. E quando soprattutto, al termine dell'esame, si è sentito dire: "Benvenuto nel popolo d'Israele".

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