I vantaggi di Erdoğan per i suoi progetti nel Mediterraneo Orientale
Analisi di Antonio Donno
A destra: Recep T. Erdogan
Putin, Rohani ed Erdoğan sono stati più volte immortalati in incontri comuni sui più svariati argomenti della politica internazionale, ma in particolare sulle questioni del Medio Oriente. I loro incontri, però, non possono nascondere le visioni divergenti su molti punti della politica regionale. Le recenti iniziative del turco Erdoğan nel Mediterraneo Orientale, sul problema del gas naturale e del petrolio, come sulla questione della Libia, non possono lasciare tranquilli sia il russo Putin, sia l’iraniano Rohani. Le difficili posizioni attuali di questi due ultimi paesi nel contesto internazionale hanno favorito le ambizioni della Turchia.
Rispetto alla posizione della Russia e dell’Iran, la Turchia di Erdoğan gode di un vantaggio di grande importanza politica e strategica: essa è membro della NATO. Si tratta di un privilegio che Erdoğan si tiene ben stretto per agire nella regione mediorientale senza che i paesi europei aderenti alla NATO oppongano alcuna riserva. Nata alla fine del secondo conflitto in funzione anti-sovietica, la NATO aveva ottenuto l’adesione della Turchia al fine di avere un alleato importante in un Medio Oriente che rientrava nei piani strategici dell’Unione Sovietica. Oggi, tuttavia, con la sparizione del colosso comunista, è caduto il ruolo anti-sovietico della Turchia; ma Erdoğan ha ancora bisogno del mantello protettivo della NATO, anche se per motivazioni ben diverse da quelle che hanno preceduto il collasso sovietico. Le ambizioni di Erdoğan nella regione del Mediterraneo Orientale prevedono la prosecuzione della presenza turca nella NATO, perché il silenzio, l’inazione di questa organizzazione garantisce al regime turco mano libera nell’area. Una volta coperte le spalle nell’altra parte del Mediterraneo, Erdoğan ha cominciato a giocare le sue carte con i due presunti alleati, la Russia e l’Iran. Abbandonati i presupposti democratici che avevano avvicinato la Turchia di Mustafa Kemal Atatürk all’Occidente in funzione anti-totalitaria, Erdoğan tende a restaurare una Turchia di stampo ottomano e, in quest’ottica molto ambiziosa, agisce disinvoltamente nel Medio Oriente. Il caso libico è sintomatico del progetto espansionistico del turco. Il pesante intervento di Ankara a favore di Fayez al-Sarraj, il presidente libico insediato a Tripoli, è dovuto a un’attenta valutazione, da parte di Erdoğan, dei vantaggi di cui gode il suo paese nell’intervento in Libia. Il regime di Gheddafi fu abbattuto da una coalizione internazionale che, successivamente, si unificò sotto l’egida della NATO. La Turchia fu parte della coalizione NATO. Oggi, il governo di al-Sarraj è riconosciuto, a livello internazionale, come il legittimo governo della Libia. Tutti questi fattori giocano a favore dell’intervento politico e militare della Turchia in Libia. In sintesi: la NATO, di cui è membro la Turchia, abbatté il regime di Gheddafi; il governo di al-Sarraj ha il sostegno della comunità internazionale e della stessa NATO; di conseguenza, la Turchia ha tutte le carte in regola per entrare nella contesa libica, forte della sua partecipazione, passata e presente, nei ruoli della NATO. Assai diversa è la posizione di Russia e Iran. I due paesi sono fuori da ogni tipo di organizzazione internazionale, di cui, invece, la Turchia è parte integrante. A ciò si devono aggiungere la situazione economica di Mosca, le sue problematiche internazionali legate all’eliminazione degli oppositori interni, e la questione della Bielorussia. Per quanto riguarda l’Iran, i colpi militari subiti per mano degli Stati Uniti (l’eliminazione del capo-terrorista Soleimani), la profonda crisi economica dovuta alle sanzioni di Trump e la crescente opposizione interna lo hanno portato ai margini della crisi mediorientale, nella quale l’avvicinamento dei paesi arabi sunniti a Israele, per opera della mediazione di Trump, determina una situazione avversa alle ambizioni del regime terrorista di Teheran. Erdoğan sembra avere attualmente una posizione di vantaggio nello scacchiere mediorientale. Ma il Medio Oriente, come è noto, è una regione perennemente fluttuante tra forze diverse. Molto dipenderà dagli esiti delle prossime elezioni presidenziali negli Stati Uniti.
Antonio Donno