Alain Finkielkraut si racconta Commento di Mauro Zanon
Testata: Libero Data: 08 settembre 2020 Pagina: 19 Autore: Mauro Zanon Titolo: «Diario dell'ex sessantottino: 'Perché rinnego il passato'»
Riprendiamo da LIBERO di oggi, 08/09/2020 a pag.19, con il titolo "Diario dell'ex sessantottino: 'Perché rinnego il passato' ", il commento di Mauro Zanon.
Mauro Zanon
Alain Finkielkraut
“All'inizio, fu il conformismo». Anche lui, il figlio di ebrei polacchi sopravvissuti ad Auschwitz diventato accademico di Francia, si era riconosciuto nelle «parole d'ordine perentorie» della «tribù generazionale» sessantottina e parlava «la lingua astratta della militanza politica», pur non gettando i pavés che i più radicali del ma o parigino scagliavano contro i poliziotti antisommossa mandati in strada a difendere l'ordine gollista. Anche lui, l'antimodemo che oggi osserva malinconico il disfacimento identitario della Francia, la crisi del pensiero e della cultura occidentali, aveva «manifestato rumorosamente», attingendo a un lessico che nell'aprile del '68 gli «era ancora estraneo», e iniziando, «come tutti», «a utilizzare la parola "compagno"». «Ma venne il giorno in cui, superando la paura adolescenziale di pensare controcorrente, decisi di rompere il silenzio», scrive Main Finkielkraut nel suo ultimo libro In prima persona. Una memoria controcorrente (Marsilio, pp.128, euro 14), nel quale ripercorre "senza scappatoie, né indulgenza" il suo percorso umano e intellettuale, di sessantottino pentito, esponente della nouvelle philosophie, allievo di Lévinas e di Kundera, di Péguy e di Foucault, fustigatore del politicamente corretto e del nuovo antisemitismo islamo-goscista, difensore della civiltà europea e di una certa idea di Francia, ma non «reazionario», «un marchio d'infamia apposto dall'intelIighenzia "progressista" a tutto ciò che malauguratamente dico o scrivo».
Alain Finkielkraut, In prima persona, Una memoria controcorrente, Marsilio 2020, pp. 128, 15,00 euro, eBook 10,99 euro.
FANATISMO ISLAMICO L'«amicizia effervescente» con lo scrittore e filosofo Pascal Bruckner, con il quale scrisse Il nuovo disordine amoroso, e la lettura di Lévinas, lo hanno allontanato rapidamente dal "progressismo pulsionale" nel quale ancora oggi sguazzano i profeti del goscismo e dall'egualitarismo di matrice sessantottina. «Il nuovo disordine amoroso è un libro levinassiano. Vi descriviamo il più fedelmente e il più concretamente possibile la meraviglia della dissimmetria, la disparità delle vertigini, il rapimento talvolta doloroso causato da una presenza di cui non ci si riesce a impadronire. Per quanto sia possessivo, l'innamorato fa esperienza dell'inafferrabile. La donna amata non gli appartiene mai, gli si sottrae anche nel momento dell'estasi. "Il carattere patetico dell'amore consiste nella dualità insuperabile degli esseri", scrive Lévinas. E l'amore svanisce quando la vicinanza si risolve nella fusione. La relazione con l'Altro ha ma : or valore in termini di differenza che di unità: questa era per noi all'epoca, come lo è tuttora, la grande lezione dell'Eros. E il momento in cui smettiamo di essere rousseauiani. Non sogniamo più una società dove "ognuno si vede e si dimentica negli altri affinché tutti siano più uniti". Rifiutiamo di riconoscere come amore questo ideale di fusione di cui il maggio del '68 aveva ravvivato la fiamma e che faceva ancora fremere l'avanguardia militante della nostra generazione», scrive nel suo libro Finkielkraut «Al fanatismo islamico» che oggi imperversa in occidente, la Francia e l'Europa «rispondono con il nichilismo egualitario», afferma il filosofo parigino. «Dai tempi della Sconfitta del pensiero, mi sforzo di combattere il primo senza cedere al secondo. La battaglia non è vinta. Si può persino affermare, senza cadere nel catastrofismo, che le possibilità di successo siano esigue», dice Finkie. Tutto è cambiato con l' 11 settembre 2001, data fatidica dopo la quale «ci si è resi conto che l'umanità era caratterizzata da separazioni profonde e persino insanabili», «la jihad ha fatto il suo ingresso e a quelli che avevano occhi per vedere è rapidamente apparso chiaro come la forma parossistica di un fenomeno senza precedenti: lo scontro di civiltà all'interno delle comunità nazionali», scrive. Con «l'immigrazione detta post-coloniale», prosegue il filosofo, «la condivisione dello stesso patrimonio da parte degli autoctoni e dei nuovi arrivati ha smesso di essere scontata». Ma quei cittadini che difendono l'identità millenaria della Francia «figlia primogenita della chiesa» non sono dei «pericolosi reazionari», come la sinistra dipinge. «Si sbaglia chi afferma, con piacere o con disgusto, che sono passati alla destra», dice Finkielkraut, che a settantuno anni combatte ancora come un guerriero per proteggere quel patrimonio inestimabile che è la civiltà europea.
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