Israele-Emirati, il volo che fa la storia e la minaccia di Erdogan Commenti di Sharon Nizza, Marco Ansaldo, l'intervista di Gianni Vernetti al Presidente della Regione Autonoma del Kurdistan iracheno
Testata: La Repubblica Data: 01 settembre 2020 Pagina: 14 Autore: Sharon Nizza - Marco Ansaldo - Gianni Vernetti Titolo: «Il primo storico volo tra Tel Aviv e Abu Dhabi. Tre ore verso la pace - Ma ora Israele teme la Turchia: 'Erdogan il vero pericolo' - 'Curdi alleati dell’Occidente, presto un Medio Oriente stabile'»
Riprendiamo dalla REPUBBLICA di oggi, 01/09/2020, a pag. 14, con il titolo "Il primo storico volo tra Tel Aviv e Abu Dhabi. Tre ore verso la pace", il commento di Sharon Nizza; a pag. 15 con il titolo "Ma ora Israele teme la Turchia: 'Erdogan il vero pericolo' ", il commento di Marco Ansaldo; con il titolo 'Curdi alleati dell’Occidente, presto un Medio Oriente stabile', l'intervista di Gianni Vernetti al Presidente della Regione Autonoma del Kurdistan iracheno.
Su tutti i giornali principali compaiono oggi articoli sul primo volo commerciale tra Israele e Emirati. Sul Corriere è Davide Frattini a firmare un pezzo, sulla Stampa l'articolo ha invece la firma di Fabiana Magrì.
Ecco gli articoli:
Sharon Nizza: "Il primo storico volo tra Tel Aviv e Abu Dhabi. Tre ore verso la pace"
Sharon Nizza
«Benvenuti a bordo dello storico volo 971 Tel Aviv-Abu Dhabi ». L’atteso annuncio è stato pronunciato ieri alle 11:30 dal capitano del primo volo commerciale diretto tra Israele ed Emirati. L’aereo ha condotto nella capitale emiratina una delegazione diplomatica per avviare le trattative bilaterali in vista della firma dell’accordo tra i due Paesi, a Washington forse già il 15 settembre. Sul volo anche una delegazione americana guidata dal consigliere e genero di Trump, Jared Kushner, l’artefice dell’avvicinamento strategico tra Israele e l’asse sunnita in chiave anti-iraniana, che da Abu Dhabi proseguirà per Riad, per convincere i reali a presenziare alla cerimonia alla Casa Bianca. Una tratta di tre ore, grazie all’autorizzazione concessa da Riad al primo velivolo con bandiera israeliana a sorvolare lo spazio aereo saudita, che dice molto sul nuovo corso. Una traversata dei cieli sauditi "alla luce del sole", ha detto il premier Netanyahu da Gerusalemme: è ormai noto che per anni questa rotta è stata battuta da jet anonimi che hanno trasportato alti funzionari e almeno in un’occasione Netanyahu stesso, oltre a Tahnun bin Zayed, il Consigliere per la Sicurezza nazionale emiratino. All’atterraggio la delegazione è stata accolta dal Ministro degli esteri Anwar Gargash. Meir Ben Shabbat, il Consigliere per la Sicurezza nazionale israeliano, ha fornito un’immagine ad effetto pronunciando il primo discorso pubblico su suolo emiratino con la kippà in testa, in arabo e in ebraico. Le relazioni sono state avviate in sette settori: aviazione civile, visti, finanza, innovazione, turismo, salute e cultura. Una delegazione dedicata solo a questioni di sicurezza partirà nei prossimi giorni. Significativo perché, se è vero che alla base del disgelo annunciato a sorpresa il 13 agosto vi è l’interesse comune ad arginare le mire iraniane e turche sull’area, la percezione è che ci sia anche una sincera volontà di mutuo scambio a livello della società civile, a differenza di quanto accaduto con Egitto e Giordania, dove la "pace fredda" è sempre rimasta sul piano degli interessi strategici nazionali. Quanto ai palestinesi, il premier Shtayyeh ha espresso dolore nel «vedere un aereo israeliano atterrare negli Emirati, in una chiara violazione della posizione araba sul conflitto ». Kushner ha ribadito: «C’è una proposta che li aspetta, sta a loro decidere quando tornare al tavolo». Le mosse nel Golfo si riverberano anche su Gaza: dopo settimane di scontri con Idf, ieri sera Hamas ha annunciato la tregua «grazie alla mediazione dell’inviato del Qatar». Al-Emadi ha trascorso una settimana nella Striscia per raggiungere l’accordo a ogni costo e rivendicare così il ruolo strategico di Doha rispetto ai vicini emiratini.
Marco Ansaldo: "Ma ora Israele teme la Turchia: 'Erdogan il vero pericolo' "
Marco Ansaldo
Ora Israele teme la Turchia e lavora ad una strategia dotata di almeno tre obiettivi per indebolire Recep Tayyip Erdogan. Perché oggi non è più l’Iran, "potenza ormai declinante", nelle parole del direttore dell’agenzia di intelligence israeliana, Yossi Cohen, la "vera minaccia". Ma un Paese emergente e considerato più pericoloso. La recente intesa fra Israele e Emirati Arabi sta aprendo fronti inattesi in Medio Oriente. Altri Stati arabi si preparano all’iniziativa israeliana di un accordo. Ma il governo guarda con preoccupazione ai contatti sempre più frequentidi Ankara con Hamas a Gaza, i Fratelli musulmani in più Paesi arabi e con i gruppi islamici anche in Galilea, fra gli araboisraeliani. Per non parlare di Gerusalemme Est, la parte palestinese della città, dove nei negozi e ristoranti un tempo si vedevano ritratti di Yasser Arafat ed ora sono stati sostituitei da foto del presidente turco, vero anello di congiunzione con il network dei Fratelli musulmani, formidabile in termini di unione spirituale quanto finanziaria. In Galilea e in altre zone di Israele con una forte presenza araba Erdogan pompa fiumi di denaro attraverso le moschee. L’allarme, e il cambio di strategia di Gerusalemme, è arrivato in un vertice con i servizi segreti, non a caso di Paesi arabi: gli Emirati, l’Egitto e l’Arabia Saudita, quest’ultima sede del summit. "Il potere iraniano oggi è fragile – ha sostenuto Cohen – la Turchia ha capacità militari ben superiori". E l’intelligence israeliana per depotenziare Ankara si concentra su tre direzioni. Il piano discusso ha l’obiettivo di lavorare il "Rais" ai fianchi. La leva principale sono i curdi. I guerriglieri impegnano da quasi 40 anni l’esercito turco nel Sud Est dell’Anatolia in una guerra logorante. Un conflitto endemico, con decine di migliaia di vittime. Israeliani e Paesi arabi sono convinti di poter impegnare le forze armate di Erdogan su più fronti curdi, come Siria e Iraq, per arrivare a sfiancarlo. Punto numero due: la Siria di Bashar el Assad, da anni nemico giurato di Erdogan. L’idea è quella di usare, su quel fronte, gli iraniani alleati di Damasco mettendoli contro i turchi, cercando di indebolire ulteriormente Ankara piazzatasi nel nord curdo dopo l’offensiva militare dell’autunno scorso. Infine, l’Iraq. Nel nord Ankara intrattiene fruttuose relazioni commerciali con il governo del Kurdistan iracheno. Il sud è in mano agli sciiti, fino iraniani. L’intento è invece di agire sui partiti che rappresentano la comunità sunnita, togliendo alleati ad Ankara, e tentando un ribaltamento a favore degli arabi ora amici di Israele.
Gianni Vernetti: 'Curdi alleati dell’Occidente, presto un Medio Oriente stabile'
Gianni Vernetti
Kurdistan, Iraq e futuro del Medio Oriente. Nechirvan Barzani è il Presidente della Regione Autonoma del Kurdistan iracheno. Lo raggiungiamo telefonicamente a Erbil per un colloquio a tutto campo. I curdi hanno avuto un ruolo cruciale nella lotta contro Isis in Iraq e Siria.
Ci può raccontare qual è oggi la situazione della sicurezza nella regione? «La Regione del Kurdistan è oggi stabile e sicura grazie al sacrificio dei peshmerga e alle forze della Coalizione, inclusa l’Italia. Abbiamo distrutto il cosiddetto Califfato e le sue infrastrutture militari e inferto un duro colpo all’ISIS, ma l’ideologia jihadista non è ancora completamente scomparsa. Ci sono ancora gruppi terroristi attivi nelle aree contese e stiamo attivando un meccanismo congiunto di sicurezza con l’esercito di Bagdad per concludere il lavoro in breve tempo».
La guerra civile in Siria e il conflitto in Iraq hanno creato una grande crisi umanitaria in tutto il Medio Oriente. Qual è la situazione dei rifugiati nella regione curda? «La Regione curda, con oltre 5 milioni di abitanti, sta ospitando 1 milione e centomila rifugiati provenienti dalla Siria e dal resto dell’Iraq. Li abbiamo accolti fra mille difficoltà economiche e logistiche (anche aggravate dal Covid), indipendentemente dal loro background politico, religioso ed etnico. Siamo orgogliosi della nostra cultura di convivenza e siamo aperti a tutti coloro che fuggono dai conflitti e dalle persecuzioni. Non possiamo dimenticare la guerra e il genocidio che abbiamo sofferto come curdi sotto la dittatura di Saddam Hussein».
Dopo il referendum sull’indipendenza curda del 2017 e il breve conflitto con il governo centrale iracheno, la Regione Curda ha perso il controllo di Kirkuk e di altre aree liberate dall’Isis. Qual è la situazione oggi? «Crediamo che il dialogo strategico fra Erbil e Bagdad sia l’unica soluzione per affrontare le controversie sui territori ancora contesi, sui temi della sicurezza, il budget, e la gestione delle risorse naturali, a cominciare dal petrolio. Vediamo con favore il coinvolgimento delle Nazioni Unite in questo processo, come soggetto indipendente e neutrale».
I curdi sono stati l’alleato più affidabile dell’Occidente nel contrasto al jihadismo. Cosa si aspetta ora da Europa e Usa? «Siamo orgogliosi di essere stati un partner affidabile e leale della Coalizione Internazionale contro Isis. Noi curdi possiamo contribuire in modo decisivo alla pace e alla stabilità dell’Iraq e di tutto il Medio Oriente. Crediamo di condividere gli stessi valori e principi dei nostri partner europei e americani: democrazia, diritti umani, emancipazione delle donne e libertà religiosa. All’Occidente chiediamo più assistenza e sostegno nella gestione della crisi dei rifugiati e un maggior sostegno diplomatico alla Regione Curda».
Le comunità cristiane rischiano di scomparire in tutto il Medio Oriente. Qual è la situazione in Iraq? «Da molti anni la comunità cristiana irachena ha trovato in Kurdistan un "porto sicuro" dove rifugiarsi dalle persecuzioni. Per salvare le comunità cristiane, che vivono da duemila anni in Iraq, dobbiamo garantirne il ritorno in sicurezza a Mosul e nella Piana di Niniveh. Il dialogo interreligioso, la coesistenza e la lotta contro la discriminazione sono per noi curdi una priorità in Iraq e in tutto il Medio Oriente».
Qual è la situazione della comunità yazida? «Gli Yazidi sono stati vittima di un genocidio da parte di Isis. Oltre 350.000 di loro sono emigrati o sono ancora nei campi profughi. L’intera area di Sinjar (il cuore della comunità yazida) non è ancora sicura per la presenza di gruppi armati e l’assenza dei servizi fondamentali. Noi curdi siamo pronti a lavorare con Bagdad e con le Nazioni Unite per creare le migliori condizioni possibili sul terreno. Senza dimenticare l’impegno per assicurare alla giustizia internazionale i responsabili del genocidio». Stato di diritto, democrazia, multipartitismo, rispetto dei diritti umani fondamentali.
Il Kurdistan è un’eccezione in Medio Oriente? «Abbiamo sofferto terribilmente durante il regime baathista in Iraq e la nostra speranza era costruire un Kurdistan democratico e rispettoso dei diritti umani. La diversità etnica e religiosa del Kurdistan è per noi un valore e abbiamo sviluppato nei secoli una cultura del rispetto e della coesistenza pacifica. Basta pensare soltanto al ruolo della donna nella società curda che non è minimamente comparabile a quanto accade nei paesi a noi vicini».
Ci racconti meglio… «Da anni abbiamo implementato politiche per favorire i diritti delle donne, sostenendo un loro crescente ruolo in politica, economia, e nella società civile. Sempre più donne nella regione curda hanno un ruolo di primo piano in politica e nel business e sono protagoniste nelle strutture di sicurezza: le donne peshmerga hanno combattuto in prima linea contro Saddam Hussein e poi contro i jihadisti di Isis».
Come giudica il contributo italiano alla sicurezza della regione? «Siamo molto grati all’Italia per il supporto fornito nella formazione e nell’assistenza militare alle forze peshmerga nella lotta contro Isis e siamo sicuri che tale cooperazione continuerà nel tempo. Abbiamo anche apprezzato molto gli aiuti ricevuti dall’Italia per l’assistenza dei rifugiati».
Che cosa pensa del recente accordo raggiunto fra Emirati Arabi Uniti ed Israele? Aprirà una nuova fase in Medio Oriente? «Accolgo con favore questo nuovo sviluppo. È un passo coraggioso intrapreso dalla leadership degli Emirati Arabi Uniti e credo che porterà a una maggiore stabilità in Medio Oriente. Credo anche che creerà un ambiente favorevole per affrontare i diritti legittimi del popolo palestinese sulla base della soluzione dei due stati. Va sostenuta la leadership e la visione dello sceicco Mohammed bin Zayed nell’interesse della pace e della stabilità dell’intera regione. Solo con un dialogo costruttivo e con il compromesso sarà possibile risolvere i complessi problemi del Medio Oriente e giungere a una pace giusta e duratura».
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